The Blood of Odin

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    Autore: Red Typhoon Seppy
    Titolo: The Blood of Odin
    Genere: Avventura - Azione - Splatter
    Rating: Giallo - Arancio
    Note: Riprendo Erik il vichingo in un nuovo mondo e contesto, con una mia versione della mitologia nordica


    Gli uomini tornavano orgogliosi dalla battaglia, fieri di aver combattuto e ottenuto una vittoria senza eguali. Marciarono a testa alta, con le lame ancora intrise del nettare vitale nemico, gocciolante, lasciando una scia ovunque volgessero il passo. I vichinghi erano guerrieri molto dediti alla guerra, e con essa veneravano il mitico Odino, che mostrava piena riconoscenza per i loro servigi. Quella stessa sera, la pioggia iniziò a cadere, come dopo ogni battaglia vittoriosa, lavando via i segni della distruzione, ripulendo il sangue versato, e favorendo i raccolti.
    Nel bel mezzo di quella pioggia incessante, una figura oscura apparve alle porte del villaggio, allarmando subito i valorosi guerrieri. Le sentinelle brandirono le asce e scesero dalla vedetta, intimando l’uomo a dichiararsi e deporre qualsiasi equipaggiamento avesse con sé. La figura rimase immobile, cavalcando il suo destriero dal manto nero, tutto celato nell’oscurità, solamente due occhi gialli erano chiaramente visibili nel buio del suo viso. Nel vedere che non aveva intenzione di ascoltare le loro richieste, uno degli uomini si avvicinò al destriero, notandone le iridi rosse che riuscirono a mettergli soggezione.
    Appena allungò la mano verso l’uomo, in modo da afferrarlo e farlo scendere, quest’ultimo tirò fuori dal mantello il braccio, mostrando una vistosa armatura nera. Afferrò il braccio del guerriero, e con un semplice strattone ne lacerò le carni, amputandogli l’arto e lasciandolo cadere a terra, agonizzante. Il compagno reagì subito, caricando le braccia e lanciando l’ascia con impeto e potenza, mirando a decapitare l’individuo con un sol colpo. La misteriosa figura mostrò questa volta il braccio sinistro, che durante il movimento fece apparire nella rispettiva mano, con una forza mistica ignota, una maestosa lancia, che respinse l’ascia volante. L’arma evocata, era di un blu molto intenso, apparentemente di metallo, dall’asta lunga ed estremamente sottile, e la punta piatta dalla forma vagamente triangolare. Iniziava con una punta, per poi terminare all’apice dell’asta con un rilievo raffigurante un corvo con le ali dispiegate, e sul piatto della lama vi era incisa una runa.
    Il vichingo, nel vedere quell’arma maestosa comparire così misticamente nelle mani della losca figura, indietreggiò impaurito, supponendo di capire chi egli fosse. Si voltò, cercando di avvertire gli altri guerrieri, ma quella stessa lancia, che aveva bloccato il suo attacco, ora lo trafiggeva da parte a parte, conficcandosi infine nel terreno con il corpo appeso. Il sangue colava lentamente sull’asta, fino a toccare la runa e riempirne i solchi, facendola brillare di un rosso molto intenso. Il cavallo s’imbizzarrì, alzandosi sulle due zampe posteriori, mentre altre due paia iniziarono a uscire dal suo corpo, mostrando la sua vera natura. Ritornato a terra, con tutte e otto le zampe, i suoi zoccoli mostrarono delle rune gialle illuminate, lo stesso sui suoi denti che digrignavano vogliosi d’azione.
    Senza subire alcun danno, il destriero abbatté il grande portone di quell’infimo villaggio, fermandosi subito dopo, lasciando che il suo padrone scendesse di sella con grazia e stile. I vichinghi erano ormai allarmati, e ognuno di loro occupava le vie, brandendo la propria arma e indossando valorose armature. Non c’erano esclusioni, anche anziani, donne e bambini tenevano l’equipaggiamento, pronti a difendersi da quello che si prospettava il loro male maggiore. Seppur consci di chi fosse colui che avevano di fronte, non tollerarono la morte indegna e senza ragione di due fratelli, non c’era alcuna spiegazione. Avrebbero voluto porre delle domande alla figura nera, ma erano certi che nessuna risposta sarebbe stata udita, e solamente il tintinnare del metallo avrebbe echeggiato in quella piazza, antistante il cancello ormai caduto.
    I guerrieri accerchiarono il nemico, che intanto si sollevò le lunga vestigia, portandole dietro di sé, svolazzanti come un maestoso mantello. Mostrò un’armatura in apparenza completamente nera, che illuminata dalle torce rivelava, invece, un colorito più tendente al blu della notte. Nessuna parte del suo corpo era scoperta, e a decorare il tutto, erano incisi teschi e sguardi demoniaci, qualcosa di semplicemente spaventoso. Senza alcun timore, gli uomini caricarono all’unisono contro quella figura, che brandì fiero la sua lancia, per poi incominciare la dura lotta.
    Balzò da terra, ruotando il suo corpo, mentre tendeva la lancia verso l’esterno, spazzando via la prima fila tutt’intorno a lui. Le armature furono lacerate come fossero semplice carne, mentre i corpi cadevano a terra con urla di disperazione, in pozze cremisi. Compiuto un giro perfetto, alzò l’arma, e la lasciò cadere con violenza alla sua sinistra, generando una scossa, mentre lungo la retta immaginaria disegnata dalla lama, si apriva una vistosa crepa, che divorò i guerrieri con immensa facilità.
    Anche se sembrava tutto inutile, la speranza era l’ultima a morire, e i valorosi vichinghi continuarono l’assalto contro quella terribile figura. Approfittando del tempo che egli aveva impiegato per sbattere la lancia al suolo, molti uomini di grossa stazza lo assalirono fisicamente, cercando di schiacciarlo con il loro peso e bloccandogli i movimenti. Per qualche breve istante sembrò funzionare, fin quando i guerrieri furono scaraventati contro le varie abitazioni, sfondando le pareti, mentre lo sconosciuto spalancava le braccia senza alcuno sforzo.
    La battaglia continuò, e a ogni attimo sempre più vichinghi perivano, mentre l’uomo rimaneva sempre nella medesima postazione. Ormai la sconfitta era certa, quando a rimanere in piedi c’erano soltanto una ventina di uomini, ognuno di loro brandendo un’arma ma indietreggiando, scossi dal terrore. La figura si voltò verso questi ultimi, e molto lentamente, compì un passo alla volta, facendo echeggiare l’armatura con ogni movimento. Uno di questi guerrieri, armato di un martello gigante e una spada nel fodero, si fece avanti rispetto a tutti loro. Tese più che poté i suoi muscoli, ruotando il busto e sferrando un possente colpo orizzontale con quel martello incredibilmente grande.
    L’uomo lo bloccò con una mano con una facilità estrema, mentre la testa dell’arma si frantumava, sgretolandosi in piccoli sassi e polvere. Privato dell’arma principale, estrasse fulmineo la spada, cercando di trafiggerlo all’addome, ma la punta non riuscì a penetrare quella resistentissima armatura. Solo allora, l’uomo afferrò il vichingo per il collo, sollevandolo da terra seppur fosse di grossa stazza, mentre lo osservava negli occhi. Scuotendo la testa, la figura fece cadere il cappuccio dal capo, rivelando corti capelli castani e una benda che gli copriva l’occhio destro, mostrando l’iride nera dell’altro. Il vichingo, con voce soffocata e flebile, riuscì a domandare il motivo di tutta quella carneficina, da sempre fatta ad altri e mai desiderata per se stessi.
    L’uomo non rispose, si limitò semplicemente a stringere maggiormente la presa, mentre le braccia dell’energumeno guerriero caddero penzoloni, prive di vita. Lasciò cadere a terra quel cadavere, proseguendo a uccidere anche gli ultimi rimasti e le ultime urla echeggiarono per la terra di mezzo.
    Era un triste destino, quello di perire senza poter lasciare eredi a continuare la propria dinastia e portare avanti l’orgoglio di un guerriero. Il villaggio era completamente tinto di rosso, mentre carcasse di uomini, donne e bambini fungevano da decorazioni, nessuno si sarebbe aspettato di essere spazzati via dalla loro stessa divinità: Odino.


    Edited by Liberty89 - 7/3/2012, 21:29
     
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    II – La Tortura dei Dannati
    Il gelido vento soffiava impetuoso contro le deboli carni mortali, mentre la pioggia lo bagnava come supplemento a quel dolore. Un giovane vichingo si risvegliò in un luogo a lui sconosciuto, intorno a sé solamente oscurità, in cui l’orizzonte era inesistente e la volta celeste priva di stelle. Scendeva impetuosa una pioggia incessante, come quella notte quando fu ucciso nel suo villaggio, quasi a ricordargli quel castigo divino. Capì così, di trovarsi a Hel, nell’inferno dei vichinghi, ove finiscono coloro che sono morti senza gloria, di vecchiaia o malattia, oppure avendo compiuto adulterio e fratricidio.
    Era incatenato su uno scoglio roccioso, tramite catene incredibilmente resistenti, che seppur strattonate non si muovevano d’un pelo. In lontananza, i suoi occhi scorgevano quello che pareva essere un vasto mare, e un’imbarcazione gigantesca ma incompleta e in fase di costruzione. Quando poi vide ai suoi piedi tante serpi che s’avvinghiavano alla sua carne, stritolandolo lentamente e mordendolo in continuazione, capì dove si trovasse di preciso. Continuava a pensare a quella notte, quando Odino aveva tradito i vichinghi, cercando una risposta che sembrava non esistere. Il suo desiderio, che lentamente si alimentava all’interno del suo animo turbato, era quello di vendicarsi del torto subito, vendicare i fratelli caduti. Disperato e divorato da quella lenta agonia, pensò a come liberarsi da quelle catene, e all’improvviso, con le ultime forze che scorrevano nelle sue vene, urlò il nome di una divinità: quello di Loki.
    Qualche attimo dopo, i serpenti allentarono la presa e iniziarono ad allontanarsi, quasi impauriti da qualcosa. Scintille e fiamme comparvero d’innanzi al vichingo, mentre una figura umana si mostrava a lui in tutta la sua fierezza. Lunghi capelli neri, legati e cadenti sulla sua schiena, accompagnati da un pizzetto corto, occhi sottili e marcati come il buio della notte senza illuminazione. Loki era giunto in quel luogo, con il solo intento di deridere il guerriero che invocava il suo nome, ma anche perché curioso sul cosa potesse spingere un valoroso vichingo a chiamare il dio del fuoco e dell’inganno.
    “Erik il rosso, colui che s’è tinto del sangue dei suoi nemici quanto quello dei suoi fratelli, destinato a perire eternamente nel Náströnd per le sue colpe” sentenziò la divinità, cercando di infierire nel dolore che provava in quel momento il giovane.
    Il vichingo rimase in silenzio, cercava di recuperare il fiato che gli veniva mozzato dalle serpi, tornate alla carica, che stritolavano le sue deboli membra. Quando recuperò abbastanza forza, disse semplicemente che desiderava uccidere Odino, e fargli pagare tutto ciò che aveva fatto ai vichinghi. Loki, eterno rivale del divino disprezzato, rimase costernato da tanto odio per colui che era il padre del mondo, venerato dai guerrieri come un supremo. Allettato da quelle parole, si avvicinò rasente alla faccia di Erik, sollevandogli il mento con l’indice e il medio della mano destra, domandandogli con un sussurro flebile qual era il suo desiderio. L’uomo s’offrì per diventare servo di Loki, se quest’ultimo gli garantiva potere e la promessa di uccidere Odino, in cambio avrebbe fatto ciò che il dio del fuoco voleva.
    La proposta fu allettante per il divino, difatti non disponeva di nessuno al suo servizio e finora aveva sempre compiuto di persona i suoi inganni. Non solo avrebbe guadagnato un possibile schiavo valoroso, ma poteva liberarsi del suo rivale, e guadagnarci non poco. Dopo qualche minuto, che Loki si concesse per pensare, si voltò verso Erik, indicandolo con l’indice, accettando l’offerta, a condizione che il guerriero si dimostrasse valido per il compito che doveva svolgere. Con quello stesso dito, toccò il centro del petto del guerriero, che mostrò venature nere, che dissipavano fino a giungergli nel cuore. Erik si mise improvvisamente a urlare, straziato da un dolore indescrivibile, mentre l’oscurità fluiva dalla sua bocca, fino a ricoprirgli tutto il volto, nascondendolo dalla luce.
    La divinità dell’inganno scomparve, lasciando Erik a penzoloni privo di energia, che aveva assunto un nuovo aspetto. Il volto era diventato completamente nero, un tutt’uno con i suoi lunghi capelli corvini, solamente due piccoli occhi gialli luminescenti si differenziavano in tutto quell’insieme. La sua muscolatura, per quanto fosse già massiccia e allenata, parve crescere ulteriormente, rendendolo un energumeno dalla mole larga e dai muscoli scolpiti come in una statua di marmo, con addosso solamente un paio di pantaloni in pelle nera, decorati con qualche borchia e sorretti da una cintura la cui fibbia raffigurava un piccolo drago, infine il tutto accompagnato da degli stivali. Erik aveva ottenuto nuovo potere.
    Le serpi tornarono a cingergli il corpo nella loro morsa frenetica, mentre il vichingo cominciava a strattonarsi come in precedenza. Questa volta, le catene si muovevano lentamente, mentre le rocce che ne lambivano le estremità iniziarono a sgretolarsi. Quelle catene erano indistruttibili, solamente pochi sarebbero riusciti a distruggere l’eccelso lavoro di forgiatura dei nani. Continuando a far forza, voglioso di liberarsi e non soffrire quelle maledette pene, tentava di liberarsi in qualche modo utilizzando la potenza donatagli dal divino.
    Le ore passavano mentre quelle serpi continuavano con il loro operato, il vichingo lentamente pareva stremato e privo di energie, cessando il vano tentativo di liberarsi.
    In quel momento, i serpenti si ritirarono nuovamente, come quando apparve Loki, intimoriti sempre da qualcosa o qualcuno. A giungere questa volta, era un gigantesco serpente, le cui fauci si aprivano tanto quanto il petto del guerriero, dalla pelle ricoperta di scaglie e dalla colorazione smeraldo spento. Era il Níðhöggr, il serpente che, secondo le leggende diffuse tra i vichinghi, risiedeva alle radici del sacro albero Yggdrasill e si cibava delle carni dei dannati. La bestia infatti, si fiondò contro Erik, mordendogli l’addome, e con un facile strattone gli squartò il ventre, facendo uscire fiumi di sangue e organi lacerati, mentre Erik esalava un urlo muto. Non emetteva grida di dolore, a quanto pare aveva perso completamente il dono della parola, la sua bocca era sigillata dall’oscurità, un pegno per il potere.
    L’animale ignorava le urla o meno, anche perché il dolore era chiaramente espresso dagli occhi del vichingo e dal corpo tremante. Continuava a nutrirsi delle sue carni, strappandogli via i polmoni e il cuore con un sol colpo, lasciando il corpo di Erik a peso morto, privo di vita. Nutritosi delle carni del vichingo, la serpe si allontanò con il muso tinto di cremisi, pronto a proseguire con un’altra vittima dannata. Nel frattempo, i tessuti del corpo di Erik incominciarono a rigenerarsi, formando molto lentamente il suo corpo originario. Guarito totalmente dalle sue ferite, il vichingo riprese coscienza, capendo che avrebbe dovuto sorbire quella triste e dolorosa agonia per tutta la durata dell’eternità, una cosa che non voleva per nulla.
    Le serpi si riavvicinarono e ripresero ad attorcigliarsi intorno al suo corpo, mentre la speranza continuava a brillare in lui con il desiderio di libertà. Si strattonò nuovamente, facendo più forza, questa volta creando delle vere e proprie crepe nella fredda roccia che imprigionava le sue catene. Non arrendendosi, continuò così per diverse ore, mentre sentiva il dolore causato dai serpenti intorno a sé, che rallentavano i suoi movimenti ma non gli impedivano di continuare. Alla fine, una delle rocce s’infranse sotto la sua incredibile potenza e il braccio destro fu finalmente libero di muoversi come desiderava. Con rabbia afferrò i serpenti che aveva intorno al collo, strappandoli da sé e gettandoli a terra, calpestandoli con le proprie calzature.
    Potendo ruotare meglio il busto, si diede un ultimo colpo di reni, che permise all’ultima catena di liberarsi dalla roccia detentrice. Era finalmente libero, con ancora le manette ai polsi e le catene penzolanti, ma almeno il movimento gli era garantito. Finalmente era capace di strangolare quelle serpi che s’attagliavano su tutta la sua persona, uccidendole con ferocia semplicemente calpestandole o stritolandole nel suo pugno. Capendo di quale forza era dotato, i serpenti si ritirarono, come in precedenza al cospetto di figure possenti e temibili, mostrando chiaramente la loro paura per Erik. Il vichingo si sporse sul bordo di quello scoglio, mentre il suo corpo continuava a essere solcato dal gelido vento e dalla pioggia incessante, cercando di scrutare l’orizzonte. In lontananza, oltre il mare dei dannati, vide quella che pareva essere la dimora di Hella, la sovrana degli inferi, e da lì sarebbe uscito.
    Il suo viaggio per uscire dal Náströnd e da Hel era incominciato.


    Edited by Liberty89 - 11/3/2012, 21:22
     
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    III – Il Níðhöggr
    Con le catene staccate dalla roccia, Erik finalmente stava godendo i suoi primi attimi di libertà. Osservava l’orizzonte, pronto a superare quel mare impetuoso e giungere dalla sovrana di quel luogo, e abbandonare così il Náströnd una volta per tutte. Prima di poter raggiungere la sua prossima meta però, aveva un ostacolo da superare, un guardiano da affrontare, il temibile serpente gigante Níðhöggr, che si accorse più tardi della sua fuga.
    Quando il vichingo scese dalla scogliera, raggiungendo la parte sabbiosa della costa, poté notare altri suoi fratelli dannati, che venivano stritolati dai serpenti, mentre altri erano stati divorati, pronti a rigenerarsi lentamente.
    Non poté giungere subito sulle coste, perché la strada fu sbarrata da un massiccio corpo: il Níðhöggr sibilava feroce, cercando di incutere timore nell’animo del guerriero, che rimase immobile, leggermente titubante, ma ricambiando quell’atteggiamento con uno sguardo di sfida. In lui scorreva il sangue dei vichinghi, degli eroi del passato che hanno affrontato bestie più pericolose di quello che aveva d’innanzi.
    Attese che il suo avversario facesse la prima mossa, essendo disarmato voleva puntare sul contrattacco, cercando l’occasione più propizia per infierire. Sfortunatamente, la serpe gigante disponeva di un corpo lungo che andava ben oltre l’immaginazione del guerriero, seppur fosse largo più o meno quanto il vichingo.
    Una stretta prese Erik alle spalle, avvinghiandosi a lui e bloccandogli le braccia. Fu sollevato con immensa facilità, mentre veniva avvicinato alla testa del serpente, che lo osservava nelle pupille, furioso e assetato di carne fresca. Il vichingo non cambiò l’espressione precedente, iracondo e pronto alla sfida, e sferrò una possente testata all’animale, che indietreggiò con il capo, lasciando la presa. Erik rovinò a terra, essendo l’altezza oltre i cinque metri, e rotolò per qualche istante, cercando di recuperare le forze. Il guerriero si rialzò lentamente, facendo un po’ di fatica, purtroppo i serpenti che l’avevano torturato quando era ancora legato alla roccia gli avevano tolto le forze, e di certo l’esser divorato e gettato al suolo non era una bella prospettiva. Nemmeno il tempo di rialzarsi del tutto e controbattere, che quella lunga coda sbatté subito contro di lui frontalmente, spingendolo con impetuosa violenza contro una parete, che fu distrutta sotto tanta potenza.
    Il vichingo ne uscì barcollante, mentre il Níðhöggr si preparava a scagliargli contro un secondo colpo di coda. L’uomo portò d’innanzi a sé le braccia, bloccando quella mossa con la forza bruta delle sue braccia, scivolò, lasciando un solco nella sabbia, ma riuscì a resistere e a non perdere la presa. Recuperata la stabilità, afferrò la coda della bestia in un letale abbraccio, e fece in modo di sollevare la parte ove c’era la testa, per poi scaraventarlo contro la scogliera munita di rocce appuntite. La bestia sbatté con immensa violenza, senza però subire ferite ingenti, avendo una pelle di scaglie coriacee, tanto da farla ripartire subito alla carica.
    Con un colpo di frusta della coda, si liberò di quell’abbraccio e al contempo scaraventò il vichingo in aria. Immediatamente, sotto di lui lo attendeva una bocca spalancata, pronto a divorarlo interamente, ma non era quello il destino di Erik.
    L’uomo, infatti, bloccò la caduta, spingendosi con i piedi sulla mandibola inferiore, e con le braccia sulla parte superiore, resistendo al morso e impedendogli di mangiarlo. Con astuzia e agilità, balzò e lasciò che le fauci della bestia si chiudessero per effetto molla, per poi stringerlo forte per serrargli la bocca e bloccarla per evitare altri utilizzi. L’animale a quel punto, prese a scuotere il capo incessantemente, sperando di liberarsi del guerriero che lo tratteneva. Non avendo altre soluzioni, caricò velocemente contro una parete rocciosa, facendosi male da solo, dato che il vichingo all’ultimo balzò via.
    Appariva tutto un inutile sforzo, dato che la bestia possedeva una resistente pelle scagliata, su cui le rocce di quella scogliera sembravano non sortire effetti. Erik era messo seriamente alle strette, poche erano le sue possibilità di riuscita, quindi indietreggiò velocemente, cercando qualcosa che potesse essergli d’aiuto. La bestia incominciò ad avvicinarsi, strisciando lentamente e sibilando, mostrando la sua lunga lingua biforcuta, vogliosa di carne. L’unico pensiero che veniva al vichingo, era quello delle sue armi, ma nessuna di esse era lì con lui nell’oltretomba, erano rimaste sulla terra.
    Capendo l’intenzione del Níðhöggr, congiunse le mani, tenendole pronti d’innanzi a sé per quando la creatura sarebbe scattata in avanti. Appena le distanze si accorciarono, Erik alzò le mani congiunte, per dare un possente colpo a due mani, mentre la serpe apriva le fauci, pronte a mordere il vichingo. L’oscurità iniziò a convogliarsi nelle mani del guerriero, assumendo sempre più la forma di un grosso martello, l’arma che Erik credeva distrutta e persa per sempre. Quando sferrò il colpo, a prendere in pieno il cranio dell’animale non furono le sue possenti mani, ma il martello, che fece chiudere la bocca della bestia, riuscendo persino a piegargli le scaglie.
    Erik rimase semplicemente sbalordito e paralizzato per un attimo nel vedere la sua fedele compagna lì, nelle sue mani, intatta. Sembrava che l’arma avesse una volontà propria, e che grazie a essa fosse riuscita a giungere dal suo amato padrone nel momento del bisogno, udendo la sua muta richiesta d’aiuto e protezione. Di nuovo insieme, il guerriero strinse il manico dell’arma e sferrò con potente colpo orizzontale, che beccò la guancia dell’animale. Il Níðhöggr si allontanò con il capo, sibilando ulteriormente, questa volta visibilmente infuriato e infastidito, non contento dell’offesa subita.
    L’attacco questa volta, fu portato con la lingua, che si arrotolò intorno alla gamba del vichingo, stringendola in una tenace morsa. Con uno semplice strattone, fece cadere l’energumeno di schiena, dopodiché lo sollevò alto nel cielo, per farlo schiantare nuovamente al suolo. Erik perse di mano il suo martello, che fu fuori dalla sua portata, mentre quella lingua gli impediva qualsiasi movimento. Infuriato, strinse forte il pugno, accumulando in esso altra magia oscura, pensando di provare lo stesso trucco di prima. Pensò con intensità alla sua spada, ed essa si materializzò nella sua mano, con la lucente lama argentata e l’impugnatura dorata a forma d’ali di falco.
    Un colpo netto e la lingua fu mozzata. Il serpente si allontanò nuovamente agonizzante, lasciando a Erik il tempo necessario per eseguire un nuovo attacco. Lì vicino aveva la coda dell’animale, che poteva tranquillamente tagliare e provocargli altre sofferenze, ma pensò di sfruttarla a suo favore. Lo afferrò con forza e insistenza, attirando l’attenzione della bestia preda del dolore, la cui reazione spontanea fu quella di agitare la coda, scagliando per una seconda volta il vichingo in aria. Come in precedenza, il Níðhöggr spalancò le fauci, pronto a divorare in un sol colpo l’uomo, che prontamente impugnò la spada con entrambe le mani, tenendo la lama verticalmente verso il basso.
    Conficcò con estrema violenza la lama nella fronte della bestia, che chiuse la bocca, rendendogli impossibile l’azione di divorarlo. Con ulteriore forza, estrasse l’arma dalle carni della bestia, senza sfilarla dalla ferita già inferta, ma provocandone una seconda: un taglio trasversale vistoso e profondo nelle fauci della bestia.
    Erik atterrò perfettamente incolume a terra, poggiando con un ginocchio e la mano libera, mentre la bestia si agitava a destra e sinistra per l’immenso dolore. Cogliendo l’attimo, il guerriero perforò il petto dell’animale, facendo scorrere altro sangue cremisi, schizzandosi ancora e coprendosi quasi completamente il corpo.
    L’animale cadde a terra, con il respiro lento e affannato, mentre il vichingo con passo calmo, si avvicinava al capo, osservandolo negli occhi. Lo sguardo dell’animale parve rassegnato, come se sapesse già quale fosse il suo destino, e con un colpo netto Erik gli mozzò la testa, tingendo la sabbia di rosso scuro, per poi pulire l’arma con una sferzata a vuoto. Rinfoderò la spada nella cintura e raccolse il martello, che tramite dei legacci oscuri assicurò alla schiena, senza coprirsi il petto.
    Si sedette contro la parete rocciosa per riposarsi, dopodiché puntò nuovamente lo sguardo sull’orizzonte e sul profilo del castello di Hella: c’era solo un immenso mare a separarli, e non si sarebbe fermato per niente al mondo. Aspettò di aver recuperato le energie, poi, senza pensarci due volte, il guerriero si tuffò, incominciando a nuotare verso la libertà.


    Edited by Liberty89 - 13/3/2012, 21:32
     
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    IV - La Sovrana degli Inferi
    Erik attraversò il mare che divideva il Náströnd e la parte fondamentale del regno di Hel, ovvero il palazzo di Éljúðnir. Giunto sulla riva opposta di quel grande e impervio mare, si concesse del tempo per rilassarsi e recuperare le energie perdute, permettendosi di guardarsi intorno. La scena che si presentava ai suoi occhi era alquanto desolante: un’infinita fila di anime dannate che desideravano essere ricevute al cospetto di Hella per chiederle un condono della loro eterna pena. In lontananza, invece, era già visibile il luminoso ponte dorato, e in sottofondo si poteva chiaramente udite il boato del guardiano dei cancelli di Hel.
    Mentre nel Náströnd tutti erano incatenati e torturati dalle serpi, qui gli spiriti vagavano in ogni dove, confusi e disperati. Il vento era meno impetuoso rispetto all’altra riva e la pioggia era diminuita, l’unica cosa che aumentava era il freddo gelante. Seppur privo di copertura e indumenti sulla parte superiore del corpo, Erik non ne risentiva, grazie ai lunghi allenamenti a cui si era sottoposto e ai freddi inverni che i vichinghi dovevano sopportare nelle loro terre, di per sé gelide.
    Le anime tentavano la fuga in continuazione, infatti, il latrato di Garmr era un continuo echeggiare, accompagnato dalle grida delle sue vittime dilaniate e rimandate nell’inferno. Una grossa fossa ospitava moltissime anime in continuo lamento, che cercavano di uscire in ogni modo, mentre venivano lentamente congelate dalla fredda tempesta e bagnati all’urina di capra, gettata dall’alto da giovani fanciulle, serve dell’oltretomba. Éljúðnir invece era incredibilmente alto come edificio, avrebbe potuto tranquillamente ospitare alcuni giganti, dalle forme completamente angolari e spettrali. Costruito interamente di durissima pietra nera, resa lucida dalla brina che si depositava su di essa a causa del freddo, mostrava su ogni lato due teste di serpenti giganti, simili al Níðhöggr.
    Ormai, con le forze recuperate, Erik decise che era giunto il momento di chiedere anche lui un’udienza alla sovrana di Hel, desideroso di riavere la sua anima dannata. Difatti, seppur avesse un corpo fisico, capace di provare dolore, non disponeva di un’anima e senza di essa non avrebbe potuto sopravvivere all’infuori del regno del nord. Lui doveva raggiungere Asgard, che si trovava a sud, dunque era necessario che recuperasse quella parte di sé, inoltre, il non averla gli dava un senso di vuoto e nostalgia, gli mancavano i suoi sentimenti più profondi. Raggiunse la fila, ove un mucchio di dannati, stranamente in modo ordinato, entravano uno a uno, senza mai uscire, lasciando intuire quale fosse la risposta della divina alle loro patetiche suppliche.
    Con immensa prepotenza, Erik spinse via alcune anime, scavalcando la fila ed entrando all’interno del gigantesco palazzo, pronto ad affrontare una grave minaccia. Al suo ingresso, l’enorme portone di legno nero con infissi di ferro si chiuse con un enorme boato, impedendogli qualsiasi tentativo di fuga, pareva quasi che il suo arrivo fosse stato previsto e atteso. Ad accoglierlo trovò un lunghissimo tappeto bordeaux, seguito ai lati da innumerevoli torce illuminate da una misteriosa fiamma celeste. Le mura interne, diversamente da quelle esterne, erano tappezzate con il dorso della pelle dei serpenti, e dal soffitto sporgevano altre teste, ma queste erano reali, non mere sculture con scopo artistico.
    Avanzò lungo quel tappeto rosso, notando fin dal primo istante la sovrana e il motivo per cui quel posto era tanto capiente. Hella, la gigantesca regina di Hel, sedeva su un trono di pietra, privo di curve o imbottiture, piuttosto duro e scomodo a dirsi, ma su cui sembrava perfettamente a suo agio. Il suo corpo, diviso verticalmente in due, mostrava il lato destro giovane e attraente, mentre quello sinistro spettrale e orrendo, era quindi parzialmente stupenda, con una folta chioma corvina e pelle bianca come il latte, contrastata da un lato imbrunito e marcio, in perenne decomposizione. Ai suoi lati, vi erano due demoni dall’aspetto quasi umanoide, ad eccezione di due minute corna sulla fronte, lunghe unghie nere e dentatura aguzza.
    -Il tuo arrivo era atteso.-
    Pronunciò la sovrana, con una voce graziosa quanto terribile. Il tono della sua voce era anch’esso un misto di bellezza e bruttezza, come due voci sovrapposte che danno l’effetto distorto di un’eco. La regina aveva uno sguardo serio, che finito di parlare si trasformò accompagnato da un sorriso, conscia delle motivazioni che avevano spinto il guerriero a giungere al suo cospetto.
    -Rivorresti la tua anima, dico bene?-
    Continuò la gigantessa, celando un leggerissimo risolino, mentre i suoi due servitori parevano annoiati e disinteressati. Erik fissava la donna con rabbia e furia, stringendo forte i pugni e trattenendosi dal scatenare la sua potenza su di lei, intimorito delle sue possibili capacità. Aveva di fronte la figlia di Loki, tanto un mostro quanto una gigantessa, sovrana del regno di Hel e del Niflheimr, ciò doveva chiaramente spiegare da solo quanto potesse essere potente.
    -Inizia pure a supplicare-
    Concluse lei, poggiando il volto sul pugno, continuando a sorridere. Attendeva che il vichingo facesse ciò che fanno tutti, ovvero mettersi in ginocchio e come degli infanti piangere per riavere indietro la vita, una seconda possibilità di morire con onore. Il vichingo rimase immobile, non era per nulla intenzionato a prostrarsi, non era tanto debole e infimo da ridursi a quel livello, nemmeno d’innanzi a Odino, ora suo nemico. Dopo qualche minuto, l’espressione della donna cominciò a cambiare, diventando inizialmente seccata e impaziente, per poi inarcare le sopracciglia e mostrare ira.
    -Osi sfidarmi misero umano?!-
    Urlò lei, mentre la sua voce rimbombava sulle pareti e sbatteva con fragore il pugno sul bracciale. Erik non si mosse, mantenne saldamente la sua posizione, anche se l’espressione era vuota, doveva dannatamente ammettere che farla innervosire lo divertiva. Nessuna risposta, né vocale, né a gesti, così la signora degli inferi avrebbe presto perso le staffe, pronta a punire il suo nemico colpevole di tanta insolenza.
    Non dovette dir nulla che i due servi capirono perfettamente cosa volesse la loro divina padrona. I due si alzarono, il primo sbadigliando e grattandosi la nuca, la seconda grattandosi il fondoschiena e passandosi una mano tra i capelli. Erik estrasse la sua fedele spada, pronto all’azione, conscio che non sarebbe stata una passeggiata come con il Níðhöggr.


    Edited by Liberty89 - 16/3/2012, 20:40
     
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