The Dark Side of the Moon

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    Titolo: Kingdom Hearts - The Dark Side of the Moon
    Autore: Red Typhoon Seppy
    Fandom: Kingdom Hearts + Nuovi Mondi
    Rating: Arancione
    Genere: Avventura - Azione
    Personaggi: Nuovo personaggio
    Avvertimenti: Long Fic
    Introduzione: Ecco una bella fic che mi è venuta in mente di scrivere. Tutti hanno scritto una fic su Kingdom Hearts, tranne il sottoscritto, or dunque ho pensato bene di rimediare e farne uno xD. La particolarità della mia fic è che la trama non si basa sul solito ragazzino che diventa custode del keyblade, ma di un guerriero che diviene un servo dell'oscurità. Da notare che questa fic è basata sulla mitologia norrena e sulle canzoni epic metal, in particolar modo i Manowar e i Hammerfall. Spero piaccia ù.ù

    Kingdom Hearts – The Dark Side of the Moon

    I – A Far Oer era un momento molto atteso e discusso: il torneo delle giovani reclute che erano pronte a diventare dei prodi guerrieri. L’arena di Nioavellir era gremita di gente, l’intera popolazione riusciva a essere contenuta in quello stabilimento, con ingresso gratuito e voglia di azione. Urla e incitamenti provenivano dagli spalti, mentre nell’arena di terra battuta faceva il suo ingresso una figura imponente, l’allenatore di quell’anno: il famoso Siguror, il più forte dei vichinghi.
    -Siamo qui quest’oggi per vedere gli sforzi delle nostre reclute, che sono pronte a servire Odino fino alla morte ed essere accolti nel Valhalla. Dimostreranno di essere abbastanza forti e degni del sangue che scorre nelle loro vene e del nome che portano? Chi di loro si dimostrerà il più abile e degno di divenire comandante? Non perdiamo tempo e facciamoli entrare!-
    Disse l’uomo, alzando le braccia al cielo e lasciando che il pubblico, da un breve silenzio di rispetto, scoppiasse in esaltazioni esagerate. Siguror scomparve dalla scena, facendo entrare i giovani che erano lì per essere messi alla prova. Erano in totale venti ragazzi giovani, ma già muniti di una folta barba. La caratteristica comune di ognuno di loro era la massa fisica, nessuno di loro era esile, e i muscoli erano scolpiti nella carne come un marmo di Michelangelo. Allenati duramente, temprati con il sudore della fatica, finalmente potevano mostrare gli esiti dei loro allenamenti ed essere considerati dei prodi guerrieri, che un giorno saranno degli einherjar.
    A spiccare tra di loro era una figura molto possente, il secondo più alto ma il più largo del gruppo. Un’altezza di un metro e novanta, largo di spalle come due uomini di mole media, dalla muscolatura visibilmente marcata e dalla vita stranamente sottile e longilinea. Lunghissimi capelli corvini, occhi che parevano due stiletti cerulei, una barba nera come la pece, delimitata ai lati da due trecce. Non solo era la figura più spiccata, ma durante le sessioni di allenamento dimostrò di avere più capacità di tutti sul lato della forza, ma anche di strategia e comando, a conti fatti risultava il favorito.
    Tutti i cadetti erano in fila, eretti d'innanzi al pubblico, salutandolo con il pugno sul cuore prima di incominciare l’incontro. Dopo una breve presentazione con i corrispettivi nomi, i guerrieri si allontanarono, andando verso i bordi dell’arena circolare, prendendo da un’armeria l’arma che più desideravano utilizzare per lo scontro. Appena tutti diedero l’approvazione, il duello ebbe inizio: venti uomini armati che avrebbero combattuto fino allo stremo, lasciandone solamente uno vittorioso. I guerrieri si fiondarono sugli avversari, riempiendo subito l’aria con tintinnii metallici e respiri pesanti, nessuno risparmiava le proprie energie, tutti davano il massimo.
    Il torneo era a scopo d’intrattenimento e allenamento, il vincitore sarebbe stato premiato con un altro grado nella gerarchia militare, ma non vi erano sconfitti: tutti bene o male divenivano dei prodi vichinghi. Non vi erano mai dei morti, nemmeno per errore, i guerrieri dovevano anche dimostrare la loro capacità nel trattenersi e catturare eventuali nemici vivi, ma quel torneo non si svolse come ci si aspettava. Infatti, uno dei guerrieri si era scatenato come non mai, violando tutte le regole, ma soprattutto i codici morali dei vichinghi. Senza esitazione o sconforto si fiondò sui propri nemici, trapassando le loro carni con la sua lama, smembrandoli e lasciando cadere i loro corpi privi di vita in una pozza di linfa cremisi. Fuori controllo, la belva iniziò a scontrarsi con tutti i suoi fratelli, ottenendo così la vittoria, essendo l’unico rimasto in piedi.
    Il pubblico da esultante ed eccitato, divenne muto e sconvolto dall’oltraggio a cui aveva assisitito in quell’arena. Un lungo sussurrare di pareri personali a riguardo del guerriero scacciò il silenzio come un insetto fastidioso, mentre i membri del consiglio degli anziani si alzava in piedi, indicando il giovane indegno di far parte dei vichinghi.
    -Ciò che hai fatto è intollerabile! Sarai adeguatamente punito!-
    Disse il capo del consiglio con sdegno, rovinando lo stato d’animo del guerriero. Da esultanti e fieri, i suoi occhi s’inarcarono rabbiosi, il vichingo pensava di essere ammirato per la sua potenza devastante, invece, lo stavano condannando. Preso dalla collera, alzò il braccio nel quale brandiva la propria spada e afferrò la propria barba con la mano libera, facendo ben capire le sue intenzioni. La folla spalancò gli occhi e trattenne il fiato, incredula. Non poteva farlo, un nordico non avrebbe mai osato arrivare a tanto. E invece, il giovane passò la lama sulla pelle, e si rase la barba, uno dei tanti orgogli dei vichinghi, lanciando il tutto per terra davanti al consiglio, come un guanto di sfida.
    -Eric Adams, per aver oltraggiato il nome dei vichinghi e infranto uno dei codici morali più importanti, ovvero mai uccidere un proprio fratello, sarai rinchiuso nel Niflheimr fino alla fine dei tuoi giorni!-
    Pronunciò nuovamente il capo del consiglio, mentre questa volta a fare la faccia incredula fu proprio il giovane. Essere rinchiusi nel Niflheimr era la cosa peggiore che potevano sentenziare, solamente i soggetti più pericolosi e oltraggiosi finivano in quella prigione di ghiaccio. Senza nemmeno avere il tempo di tornare alla realtà, scesero nell’arena dei vichinghi ricoperti con vistose armature, armati unicamente di lunghissime fruste. Scagliarono la prima frusta, che fu parata dall’avambraccio sinistro, avvinghiandosi però ad esso, mentre una seconda gli si aggrappava intorno al polpaccio. Lentamente, una ad una quelle fruste si legarono a qualche parte del suo corpo, incatenandolo e rendendogli i movimenti quasi impossibili.
    Eric cercava di strattonare le funi con le sue braccia muscolose, e con le mani allentare la presa sul collo che iniziava a fargli mancare l’aria. Non poteva far nulla, quelle fruste erano fatte di materiale resistentissimo, e ad usarle erano i guerrieri migliori del Far Oer, non avrebbe mai potuto vincere contro di loro. Abbandonato a se stesso, Eric cadde in ginocchio, privo della forza di reagire, mentre due coraggiosi vichinghi si avvicinavano, afferrandogli i polsi, incatenandolo e tenendolo a terra. Lo rialzarono, così che potesse vedere negli occhi i membri del consiglio, che all’unisono indicarono alla loro sinistra, ovvero il nord, ove era situata la prigione di ghiaccio. Erik non poté far altro che rassegnarsi, emettere un lungo sospiro e chiudere gli occhi, deluso dalla sua gente ma al contempo dispiaciuto per ciò che aveva fatto.
    Doveva essere sincero, lo spargimento di sangue gli era piaciuto. Era dispiaciuto per aver reciso le vite dei suoi fratelli, anche perché lui era sempre stato molto fedele al codice dei vichinghi, quindi comprese di aver sbagliato e di avere torto su tutta la linea. Alla fine si convinse che non doveva odiare il consiglio, ma se stesso, avrebbe dovuto attendere la guerra per porre fine alla vita dei suoi nemici e sfogare così quel suo terribile istinto. I vichinghi lo portarono via, lasciando l’arena.
    Da quel giorno non si seppe più nulla di Eric Adams, che fu sopranominato “Il Rosso”, poiché quando lo portarono via era completamente ricoperto dal sangue scarlatto dei suoi stessi fratelli.

    Edited by Liberty89 - 26/6/2011, 13:12
     
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    Ottimo inizio, non c'è che dire!
    L'idea di usare un'ambientazione nordica e più avanti i testi di canzoni epic metal è originale e ti aiuterà a non cadere nel banale. Questo primo capitolo, con aria di prologo, apre benissimo la strada a ciò che lo seguirà.
    L'unica pecca sono alcuni errori di genere e numero, ma nulla di grave o irreparabile, perché come ho detto, questo è un ottimo inizio! ^^
     
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    Note: Grazie Je ù.ù secondo capitolo del prologo


    II – Inesorabile, il tempo continuava a scorrere, ma nulla cambiava.
    Intorno a sé, Erik vedeva unicamente quattro pareti di spesso ghiaccio, che emanavano vapori gelanti che intaccavano persino le ossa dei più resistenti. Incatenato a un muro, condannato a star lì fino alla fine dei suoi giorni, nutrito unicamente con razioni povere a base di patate. Il suo aspetto trascurato, i capelli unti e crespi, la folta barba che gli era ricresciuta senza controllo, tanto da giungergli a metà petto.
    Non sapeva da quanto tempo lo avevano rinchiuso, ma era davvero stanco. Stanco di quel freddo pungente come la letale lama di Loki. Avrebbe tanto voluto uscire ed espiare le proprie colpe in qualche altro modo, ma purtroppo, quando il consiglio prendeva una decisione, questa era legge. Tuttavia, quando le speranze sembravano affievolirsi nell’oscurità, la parete di fronte al giovane uomo si ruppe, rivelando uno degli anziani del consiglio.
    -I tuoi fratelli hanno bisogno di te, se dimostrerai di essere cambiato e ti renderai utile, allora potremmo cambiare la condanna che ti affligge.- Disse l’uomo dalla lunga capigliatura e barba grigie, che fece segno con la mano a due guardie di liberarlo.
    Presero con mano il fuoco sacro di Loki, avvicinandolo alla parete, che molto lentamente iniziò a sciogliersi. Impaziente, Erik prese a strattonarsi e far forza, fin quando il ghiaccio non fu talmente debole da spezzarsi sotto la sua incredibile mole. Il muro si ruppe sotto la potenza del vichingo, che per prima cosa alzò le braccia al cielo, sgranchendo i muscoli addormentati e risvegliando il suo spirito guerriero assopito.
    Anche se libero, le manette rimanevano sui suoi polsi, mentre le due guardie lo tenevano tramite due lunghe catene. Non del tutto libero dunque, avrebbe combattuto una guerra con le catene. Un handicap che tutto sommato, un po’ piaceva al vichingo. Quando fu tutto sistemato, iniziarono a dirigersi verso l’uscita del Niflheimr, spostandosi dal freddo gelante della prigionia, al caldo ardente della battaglia.
    Quando il vichingo uscì dalla prigione, i suoi occhi non poterono che spalancarsi di stupore. Credeva che dovesse andare in guerra contro qualche pianeta da conquistare, non si aspettava di certo dover difendere il proprio paese. D’innanzi a sé, vide fiamme che si elevavano alte nel cielo, mentre grosse nubi nere come la pece oscuravano il cielo e rendevano tutto quanto tetro e spettrale. Far Oer era sotto attacco, chi era colui che aveva osato entrare nella loro prode terra e affrontare i valorosi vichinghi? Erik dallo stupore passò direttamente alla rabbia, che ribolliva nelle sue vene, ma che non poteva esprimere appieno a causa delle catene ai polsi.
    La prima cosa che chiese alle guardie fu di portarlo alla sua vecchia dimora. Prima di essere rinchiuso, il giovane Erik lavorava in una fucina, dove produceva armi da guerra per i suoi fratelli, lì avrebbe trovato ciò che gli serviva per combattere al meglio. Giunto a destinazione senza problemi, essendo la sua dimora relativamente vicina alla prigione, iniziò subito a cercare delle armi che potessero esprimere pienamente il suo valore in battaglia. Non trovò nulla. Niente di speciale o interessante che potesse suscitare in lui alcun interesse, poi ripensandoci, si ricordò della spada di suo padre.
    Appesa al muro come cimelio di famiglia, ecco Freyr, la spada di suo padre. Una lama brillante, lunga novanta centimetri, bipenne e sottilissima, larga solamente quattro centimetri, che terminava a punta. L’impugnatura in delicato ottone dal colore quasi dorato, con la forma delle ali di un'aquila squadrata, che finiva con un pomello a forma d’artiglio. Il fodero che la rivestiva era di cuoio, irrigidito da un corpo d’acciaio e due saldature alle estremità in ottone. La prese in mano, estraendola lentamente, rispecchiandosi in essa, percependo lo spirito di suo padre, morto durante una guerra, nella lama ancora perfetta nonostante il tempo passato.
    Mentre i ricordi ritornavano alla mente, alcune creature nemiche apparvero nella stanza, silenziose e misteriosamente. Erano degli esseri piccolissimi, alti al massimo settanta centimetri, completamente neri e dagli occhi color giallo lucente, due antenne che spuntavano dal capo tondo come una sfera e dita artigliate alle estremità degli arti superiori. Erik vide i due nemici, apparsi dal nulla, e subito sferrò un fendente verso uno di loro, uccidendolo sul colpo. Rimase stupito nel vedere il corpo smaterializzarsi in piccole particelle oscure, mentre la lama era ancora asciutta, per nulla intrisa di sangue cremisi colante.
    Il compagno oscuro che vide la morte del fratello, non sembrò fregarsene molto o spaventarsi, e si fiondò a sua volta contro l’energumeno. Senza voler perdere tempo a usare la spada, Erik allungò di scatto il braccio sinistro verso il mostriciattolo, intercettandolo e afferrandogli il cranio con la mano. Lo trattenne, mentre la creatura tentava invano di liberarsi con quei suoi artiglietti, per poi cessare d’esistere appena la mano di Erik si strinse intorno al suo cranio, fracassandolo.
    Purtroppo quei piccoletti non erano soli, c’erano altri loro simili nelle vicinanze. A spaccare il muro dell’edificio fu un gruppo di mostri dall’aspetto vagamente umano, alti poco sopra il metro, con uno strano elmetto, oltre che degli artigli più affilati. Il vichingo sferrò un colpo di spada, che fu intercettata dalle unghie di una delle creature, mentre un suo simile eseguiva una ruota, calciando il gigante sul fianco sinistro. Erik incassò il colpo, piegandosi leggermente di lato, mentre con foga eseguì un contrattacco, colpendo la bestia alla nuca con un pugno, scaraventandola contro la parete ancora integra. Con un calcio allontanò il mostro davanti a sé, liberando la spada, pronto a combattere nuovamente.
    Purtroppo però, erano in tanti, e il numero faceva la differenza. Uno dei tanti nemici gli saltò in spalla, aggrappandosi con le unghie alle clavicole, facendo emettere un gemito di dolore all’energumeno. Quello che aveva davanti eseguì un'artigliata, prontamente parata dal vichingo che, però, nel farlo, perse l’arma che volò via di pochi metri. Era disarmato, contro un gruppo di fastidiose e stranissime creature mai viste prima. La situazione sembrava degradarsi e peggiorare. Quello sulle sue spalle continuava ad infierire, e dal dolore il gigante iniziò a camminare in modo vago, cercando di toglierselo di dosso. Finalmente riuscì ad afferrargli il cranio con la mano, sollevandolo e scaraventandolo contro uno dei suoi simili, uccidendoli entrambi.
    Erano ancora in molti, e più ne uccideva e più ne apparivano di nuovi. Era ancora senza spada, e mentre uno di quegli esseri si stava avvicinando in corsa, il gigante si appoggiò al tavolo lì vicino per la stanchezza, notando che su di essa vi era il suo martello da fabbro. Un martello lungo complessivamente un metro e ottanta, dal manico cilindrico e sottile, completamente fatto in metallo con delle venature per permettere l’aderenza. La testa era di forma semplice, rettangolare con alcune parti in rilievo come attaccature sulle estremità e qualche bullone per abbellirlo. Afferrò al volo l’attrezzo, ruotando il busto velocemente, intercettando il calcio rotante del nemico con l’arma, che gli spezzò la gamba, facendolo cadere al suolo, inerme.
    Erik rise. Lo guardò e ne assaporò la paura. Si avvicinò lentamente, per poi alzare il martello sopra la propria testa e lasciarlo cadere tramite la gravità, in modo tale da distruggere completamente la bestia sotto l’incredibile peso dell’attrezzo, scavando anche una lieve fossa nel terreno. Infuriati per la morte del loro compagno, gli altri si gettarono in contemporanea all’attacco, timorosi di fare la stessa misera fine. Erik non fece altro che rafforzare la presa sull’arma e ruotare nuovamente il corpo, tenendo il martello parallelamente al suolo. Esso prese in pieno ben tre di loro, che furono colpiti dal manico, e trascinati fino alla fine del movimento, ove per rinculo furono scaraventati via, fuori dall’abitazione.
    Erano rimaste solamente due di quelle creature, che si preparavano a sferrare il loro calcio di getto. Il vichingo alzò il martello verso l’alto, tenendolo perpendicolare al terreno, e quando il nemico vi fu sotto, lasciarlo cadere, schiacciandolo. L’altro eseguì il calcio con pochi secondi di ritardo rispetto al suo simile, e ciò fece sì che il calcio andasse contro il martello, proteggendo Erik. In risposta, il vichingo lo spinse a terra col piede, schiacciandolo molto lentamente, mentre quest’ultimo si dimenava dal dolore, tentando di liberarsi. Erik alzò il martello al cielo, come se brandisse una mazza da golf ed eseguì un perfetto swing, prendendo il nemico alla testa e staccandola letteralmente dal corpo, facendo rotolare il rimanente verso il muro, che scomparve poco dopo in un'effimera nube violacea.

    Edited by Liberty89 - 28/6/2011, 20:55
     
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    Bello anche questo, con ottima descrizione dello scontro di Erik con le creature misteriose u.u Interessante la scelta del martello per continuare a combattere, anziché tentare di recuperare la spada del padre. Davvero complimenti ^^
     
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    ~Bridges Burned

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    Uuuuuuh **
    Partiamo dal principio: inizialmente era il caos.. No, troppo indietro <_____<
    L'impatto immediato dopo aver letto il primo capitolo/prologo mi ha suggerito che questa fosse una Fiction da seguire, una fiction degna di essere commentata e per cui sarebbe valso la pena aspettare la produzione dei capitoli. A parte il fatto che mi sono dimenticata di commentarlo, il prologo, come credo già si sia capito, mi è piaciuto molto e mi ha lasciato con una punta di curiosità.
    Il secondo capitolo ha confermato la mia prima impressione: ottima stesura, scorrevole, buonissimo il combattimento e lo svolgimento dell'episodio.
    [MOD Fangirl: ON] Ah brutto vecchiaccio del consiglio che ti credi tanto un onnipotente Dio in terra, ti sei reso conto che il vichingo che hai sbattuto in cella è un gran figo! Siano lodati gli altri celesti °AAAAAAAAAAAA°
    Massacro di Heartless *ççççç*[MOD Fangirl: OFF]

    In definitiva, riconfermo quello che ho già detto: mi sembra un Fan Fiction che merita di essere letta, seguita e commentata. Forse ci si potrebbe concentrare di più sui sentimenti di Erik anche se, in quanto rude e forte vichingo, probabilmente sarebbe esagerato far notare troppo emozioni e cose simili <_______< Nulla, come se non avessi parlato XD Ho la tendenza a contraddirmi da sola -w-


    Continua presto Seppy-sama, e non temere, per quanto possa essere in ritardo, giungerò sempre a leggere gli sviluppi ù.ù
     
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    Note: Siete troppo gentili ragazze ù.ù ecco il nuovo capitolo, è un esperimento, ho provato a fare un capitolo stile song fic ma inserendolo direttamente nella storia (infatti le parole son tradotte). La canzone è "Heeding the Call - HammerFall".


    III – La battaglia non era di certo finito dopo un breve combattimento contro qualche mostro, fuori dalla fucina c’era l’inferno sceso in terra. Erik scavalcò le macerie del muro distrutto, brandendo ancora nelle proprie mani il gigantesco martello, con alla cintura la fedele arma di suo padre. I suoi fratelli stavano combattendo con tutte le loro forze, indossando le armature più appariscenti e resistenti mai fabbricati, alcuni di sua invenzione. Il vedere quel paesaggio in fiamme e miseria, rese il vichingo molto furioso, ma al contempo lieto di poter partecipare a una battaglia sanguinolenta, la sua prima vera guerra.
    Intanto, mentre la battaglia continuava, dalla cima di un’alta rupe, s’intravedevano ben tre uomini ergersi. Un uomo che teneva con se i tamburi da guerra, mentre l’altro brandiva una chitarra, e colui che appariva maestoso d’innanzi a loro era nient’altro che Siguror stesso. Il suono dei tamburi attirò l’attenzione dei vichinghi, che s’interruppero e alzarono lo sguardo verso l’alto, vedendo il loro più valoroso guerriero, pronto a incominciare un discorso.
    La chitarra partì poco dopo, fungendo da accompagnamento alle parole ferree del loro comandante. L’uomo ammirava tutta la battaglia dall’alto, e in mano brandiva la sua arma fedele, il suo martello, piccola di dimensioni ma potente impugnato nel braccio di quel vichingo.
    -Un abbaglio nella notte, un viaggio nel tempo, i templari son tornati sulle strade. Protetti dall’abilità e dal volere di vivere, condotti dalla luce guida.-
    Pronunciò Siguror, con voce molto acuto e tenue, recitando tutto come fosse un melodioso canto. I templari ritornarono a combattere per proteggere il loro mondo, guidati dalla luce benevola del divino Odino. Successivamente, alzò la mano sinistra verso il cielo, come se si rivolgesse direttamente agli dei che stavano assistendo al massacro.
    -Angeli della misericordia, guardiani del tempo, legati e incatenati alla fiamma eterna, il martello si ergerà lentamente.-
    Disse ancora il comandante dei vichinghi, mentre fiero alzava lentamente durante l’intera professione il proprio martello al cielo. Invocava l’aiuto delle valchirie e degli dei, coloro che non li avrebbero mai abbandonati, fin ora sempre al loro fianco, e di sicuro non li avrebbero abbandonati. Poi abbassò lo sguardo ai suoi uomini nel campo di battaglia, che ancora lo fissavano, pendevano dalle sue labbra come se attendessero parole d’incoraggiamento per incitarli a superare i loro limiti del meglio.
    -Udendo la chiamata, uno per tutti, mai arrendersi, con gloria cadremo. Fratelli unitevi, ergiamoci a combattere, adempiendo al nostro fato noi udiamo la chiamata!-
    Urlò d’improvviso Siguror, diffondendo parole di unione ai suoi fratelli vichinghi. Ognuno lì sotto sorrise, lieti di udire quelle parole d’incoraggiamento dal loro comandante. In coro, i soldati echeggiarono nel vento il loro grido ripetuto, accompagnati ancora dai tamburi di guerra e il suono sprizzante della chitarra elettrica.
    -Un passo in avanti, rivelando il passato, uniti, insieme ci ergiamo. Il richiamo del tuono, il segno per incominciare quest’ultima avanzata, noi vinceremo!-
    Continuò Siguror, mentre le nubi nere che c’erano alto in cielo iniziarono a rombare, come se avessero udito le sue parole di forza. Un temporale stava giungendo sul campo di battaglia, questo per i vichinghi era un bene, perché Odino e Thor stavano per dare loro ausilio nel combattimento, e in ogni caso, li avrebbero accolti con sé nel Valhalla. Un tuono echeggiò nell’aria, illuminando l’oscurità per un attimo, come un segno divino, appunto come detto nelle parole dell’uomo.
    -Angeli della misericordia, il nostro viaggio deve continuare, con cuori riempiti di cavalleria, il sangue vitale che noi tutti necessitiamo.-
    Concluse l’uomo, alzando questa volta il pugno verso il cielo, per poi saltare giù dalla rupe con un balzo. Il guerriero iniziò a scivolare, mantenendo ferrea la propria posizione, raggiungendo e unendosi ai suoi fratelli che già combattevano. I vichinghi alzarono le loro armi per accogliere il loro fiero comandante, per poi voltarsi verso i nemici che si stavano avvicinando all’orizzonte. Tutti in coro, all’unisono, iniziarono a cantare per incitarsi le stesse parole del loro compagno, caricando e correndo incontro al loro destino. Anche Erik udì quel discorso, e si gettò nel vivo della battaglia, lieto di aiutare i propri fratelli.
    All’orizzonte infatti, il nemico si avvicinava con un esercito vastissimo, numeroso, che superava notevolmente le schiere vichinghe. In quel momento, furono leggermente demoralizzati, nel vedere la linea che divide in due il cielo e la terra più spessa e completamente nero, come un mare oscuro. I soldati si guardarono tra di loro, facendo cenno di essere pronti alla morte, or dunque iniziarono a correre numerosi verso il loro destino. Mentre avanzavano, continuavano con il loro canto di battaglia, ripetendo le frasi pronunciate dal loro condottiero, che raggiunse le prime file a condurre la guerra.
    -Ohhhh oh oh oh ohhhh, oh oh oh oh, ohhhhh oh oh oh ohhhhhhh-
    Ripetevano all’unisono i guerrieri che avanzavano, iniziando però a marciare lentamente, accompagnati dal singolo ritmo accelerato del tamburo da guerra. Ogni battito un passo, accompagnato dall’echeggiare delle loro voci, rendevano quel campo di battaglia loro di diritto.
     
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    Come ti ho già detto, le parole della canzone accompagnano in maniera perfetta la situazione che circonda i vichinghi e la canzone in sé è un ottimo sottofondo. Le descrizioni mi sono piaciute molto, ma mi ha colpita soprattutto come hai reso il sentimento di fratellanza che unisce tutti i guerrieri. Anche se più corto rispetto ai precedenti, questo capitolo ti è venuto davvero bene! Cosa manca da dire? Ah sì! Esperimento riuscito ù.ù
     
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