Posts written by Red Typhoon Seppy

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    Sola
    Yorito Morimiya è un grande appassionato del cielo, che lo porta a svegliarsi all'alba unicamente per fotografare l'evento con la sua macchina fotografica. Un giorno, proprio all'alba, incontra una misteriosa ragazza che ha dei problemi con un distributore automatico, la aiuta ma ella misteriosamente scompare. Il giovane la ritrova la sera seguente, scoprendo che si chiama Matsuri ed è una yaka, creatura immortale che vive di notte, destinata all'eterna solitudine. I due iniziano a legare, coinvolgendo nella loro storia altri protagonisti, fin quando non si vengono a sapere alcuni segreti riguardanti la yaka, ma anche sul protagonista stesso.

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    Episodio 1
    Episodio 2
    Episodio 3
    Episodio 4
    Episodio 5
    Episodio 6
    Episodio 7
    Episodio 8
    Episodio 9
    Episodio 10
    Episodio 11
    Episodio 12
    Episodio 13
  2. .

    kissxsis



    Kiss x Sis
    Keita, un giovane studente delle medie, deve frequentare l'ultimo anno e superare gli esami per essere ammesso alla scuola superiore. Vive insieme ai genitori e due sorellastre gemelle, che sono innamorate entrambe del giovane, tentando in ogni modo di sedurlo e conquistarlo. Le sorelle, figlie della madre acquisita, saranno quindi rivali e amiche in certe situazioni per conquistare il loro fratellino, quest'ultimo è un po' perverso, ma cerca di trattenersi ogni volta e non finire coinvolto nell'incesto, seppur non di sangue. Si ritroverà dunque a dover superare degli esami di ammissione, studiando con l'aiuto ma anche la distrazione delle sorelle, vivendo avventure imbarazzanti anche con insegnanti e compagni di scuola.

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    Episodio 1
    Episodio 2
    Episodio 3
    Episodio 4
    Episodio 5
    Episodio 6
    Episodio 7
    Episodio 8
    Episodio 9
    Episodio 10
    Episodio 11
    Episodio 12
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    Hunter X Hunter



    L'avventura di Gon Freecss inizia con l'incontro di un giovane Hunter di nome Kaito, in viaggio per completare l'ultima prova del suo addestramento, che consiste nel ritrovare il suo stesso maestro. Tramite il racconto delle gesta leggendarie di questo sconosciuto maestro, Gon comprende che egli altri non è che il suo sconosciuto e misterioso padre, che da sempre gli era stato dato per morto.
    Prima di congedarsi, Kaito dona a Gon una licenza di Hunter, che si scoprirà essere proprio quella di suo padre. Ottenuto questo primo indizio sull'identità del genitore, Gon prende la decisione di allenarsi duramente per poter partecipare all'esame annuale per diventare Hunter a sua volta nella speranza di ritrovare il padre.


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    Episodi 1 - 2 - 3
    Episodi 4 - 5 - 6
    Episodi 7 - 8 - 9
    Episodi 10 - 11 - 12
    Episodi 13 - 14 - 15
    Episodi 16 - 17 - 18
    Episodi 19 - 20 - 21
    Episodi 22 - 23 - 24
    Episodi 25 - 26 - 27
    Episodi 28 - 29 - 30
    Episodi 31 - 32 - 33
    Episodi 34 - 35 - 36
    Episodi 37 - 38 - 39
    Episodi 40 - 41 - 42 - 43
    Episodi 44 - 45 - 46 - 47
    Episodi 48 - 49 - 50 - 51
    Episodi 52 - 53 - 54 - 55
    Episodi 56 - 57 - 58 - 59
    Episodi 60 - 61 - 62 - 63
    Episodi 64 - 65 - 66 - 67
    Episodi 68 - 69 - 70 - 71
    Episodi 72 - 73 - 74 - 75
    Episodi 76 - 77 - 78 - 79
    Episodi 80 - 81 - 82 - 83
    Episod 84 - 85 - 86 - 87
    Episodi 88 - 89 - 90
    Episodi 91 - 92

    Edited by Liberty89 - 19/9/2012, 22:41
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    Trigun

    "Trigun" narra delle peripezie di Vash the Stampede, meglio conosciuto con il soprannome di "tifone umanoide" e per l'esorbitante taglia di 60 miliardi di doppi dollari che pende sulla sua testa. Di lui si sa che è un uomo alto, con i capelli biondi all'insù, che indossa un cappotto rosso e brandisce una grande arma, ed è temuto per i disastri che compie viaggiando da una città all'altra. Tuttavia, la vera natura dell'uomo più ricercato di questo arido pianeta illuminato da due soli e cinque lune, è ben diversa da quella che gli è stata cucita addosso...

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    Episodio 1 - L'Uomo da 60 Miliardi di Doppi Dollari
    Episodio 2 - Truth of Mistake
    Episodio 3 - Peace Maker
    Episodio 4 - Love & Peace
    Episodio 5 - Hard Puncher
    Episodio 6 - Lost July
    Episodio 7 - B.D.N.
    Episodio 8 - ...e poi, Soltanto il Deserto e il Cielo
    Episodio 9 - Murder Machine
    Episodio 10 - Quick Draw
    Episodio 11 - Escape From Pain
    Episodio 12 - Diablo
    Episodio 13 - Vash the Stampede
    Episodio 14 - Little Arcadia
    Episodio 15 - Demon's Eye
    Episodio 16 - Fifth Moon
    Episodio 17 - Rem Saverem
    Episodio 18 - Per ora, Addio
    Episodio 19 - Hang Fire
    Episodio 20 - Flying Ship
    Episodio 21 - Out of Time
    Episodio 22 - Alternative
    Episodio 23 - Paradise
    Episodio 24 - Il Crimine
    Episodio 25 - Live Through
    Episodio 26 - Sotto un Cielo così Azzurro

    Edited by Liberty89 - 13/9/2012, 23:27
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    A livello di scrittura, come al solito, preferisco quando scrivi i dettagli tecnici. La parte comica è divertente, ma non risalta la tua bravura nello scrivere, mentre durante l'atto... lo scrivi fin troppo bene... *brividi* *si ricorda ancora dell'altra fic Axel x Roxas xD*
    Complimenti Je, una storia con quel tocco di comicità e quel momento di scrittura seria, seppur il contest non mi abbia colpito per ovvi motivi xD
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    Capitolo Secondo – Witches of Black Magic
    Senza un posto dove andare, sperduto in un luogo che fino a poco prima poteva chiamare casa, ora era solamente una zona piena di tristi ricordi e incubi. Con quella maledizione non poteva rimanere nel paese, ogni notte di luna piena sarebbe impazzito e avrebbe portato solamente morte e sangue, infatti, quella voce continuava a sussurrare dentro di lui. Come un continuo ronzio, il pensiero del sangue e delle carni da divorare era perenne, non spariva nemmeno con la luce del sole, doveva trovare un modo per liberarsi da quella pena, ma prima di tutto riavere Sofie.
    Ritornò nella propria dimora percambiarsi dato che i vestiti della notte precedente si erano strappati in gran parte, lasciandolo solamente con qualche brandello a coprirgli l’intimità e le braccia. Sapendo che le trasformazioni ogni volta avrebbero denudato il suo corpo quando fosse tornato normale, decise di prendere vestiti larghi, che potessero star bene anche alla bestia, non che si preoccupasse dello stile dell’animale. Prese una maglia e dei pantaloni neri, per poi indossare un grosso spolverino che apparteneva a suo padre, e decise che doveva abbandonare il centro abitato.
    Uscito, si poneva il quesito di dove andare e come fare per ottenere nuovamente ciò che aveva perduto, l’amore e la sua tranquilla vita. Alzando lo sguardo verso il colle dove sedeva quella notte, e dove ancora giaceva il cadavere della sua amata, poté vedere in lontananza la foresta di conifere in cui nessuno si avventurava, perché era territorio delle streghe. Secondo le leggende locali, era proprio la stagione dei riti di sangue che quelle creature compivano, a quel punto, tentare di domandare a loro un rimedio non poteva di certo guastare.
    Prima di dirigersi dalle streghe però, prese una pala, e ritornò dal corpo inerme di Sofie. Le scavò una fossa, ponendo delicatamente quel suo corpo fragile ormai freddo e con il sangue rappreso, e ricoprendola di morbida terra umida per la pioggia notturna. Conficcò la pala come fosse una lapide, e s’inginocchiò a pregare affinché la sua anima riposasse in pace, fino a quando non l’avrebbe trovata e salvata, o per lo meno raggiunta, nel peggiore dei casi. Solo allora, s’alzò deciso e si addentrò all’interno della foresta, quando ormai era pomeriggio inoltrato. Se voleva trovare le streghe, doveva attendere che calasse la sera, fortunatamente non c’era luna piena, e quindi la bestia poteva essere tenuta sotto controllo.
    Ritornata quella luna beffarda, Erik incominciò ad avventurarsi su quel colle forestale alla ricerca delle streghe, e non sarebbe stato difficile trovarle. Seppur in forma umana, il suo olfatto e il suo udito erano particolarmente raffinati ora, e poteva percepire a distanza alcune cose per lui confuse, ma man mano che s’avvicinava, diventavano sempre più nitide. Nell’aria fluttuava odore di calendule, e un sibilo di parole prive di senso per l’uomo,recitate probabilmente in lingua arcaica. Le streghe erano lì, radunate insieme, per versare sangue fresco in dono al loro signore, Lucifero, sperando che quest’ultimo desse loro in dono l’eterna giovinezza tanto ambita.
    Nel vedere quelle fiamme vive innalzarsi alte nel cielo, la mente del licantropo era immersa in una sorta di calma preoccupante, come accondiscendente a ciò che gli occhi del giovane stavano ammirando. Giunse sul luogo ove le streghe stavano recitando qualche rito satanico: c’erano tre figure incappucciate quasi sicuramente donne, completamente in nero. Con loro c’era una ragazza umanacompletamente invasa dal terrore, probabilmente una vergine,legata che si dimenava nel tentativo disperato di liberarsi prima che accadesse l’irreparabile. Erik, seppur mostrava sicurezza, provava immensa paura dentro di sé, non era nemmeno più sicuro delle sue azioni e se fossero realmente una buona idea.
    Intanto un vento gelido si levò imponente con una singola folata, investendo Erik a cuiparve di percepire una qualche presenza al suo interno. Quella paura leggera di prima s’accentuò all’improvviso, era come se non fosserosoli in quella foresta, come se una grande forza stesse osservando tutto quell’operato, probabilmente era proprio colui che le streghe inneggiavano con tanto ardore. Si sentiva fortemente l’odore della paura diventare sempre più marcato, soprattutto quando quelle streghe presero la giovane fanciulla e l’avvicinarono al pentolone, afferrandole i capelli e piegandola oltre il bordo. Senza battere ciglio, la sgozzarono con un pugnale, lasciando che il sangue cadesse fluido nel pentolone e tingesse di cremisi quell’intruglio, divenendone l’ingrediente principale.
    Il cadaverefu gettato nelle fiamme come un rifiuto, che improvvisamente s’alimentarono per qualche istante, bruciando e alzandosi sempre di più, una scena infernale quanto divina e spettacolare. Quel vento sembrò farsi ancora più consistente, avvolgendo quelle donne i cui occhi divennero lentamente neri, come fossero morte, o comunque non più umane. Il sangue si raggelò nel corpo di Erik, l’aria divenne sempre più pesante, insopportabile anche per lui, mentre quelle streghe si toglievano le tuniche, lasciandole cadere di peso al suolo, rivelando i loro corpi nudi. Erano donne incredibilmente giovani, dal fisico snello, abbondante ma soprattutto senza impurità, perfetto in ogni sua linea, cosa alquanto ambigua, troppo innaturale.
    S’immersero nel pentolone nel quale il sangue bolliva vivace, come se condividesse la gioia delle streghe, che non subivano ustioni, né si macchiavano la pelle, era decisamente una prova di quell’eterna giovinezza che avevano ottenuto in cambio di lealtà. Una delle streghe però, si voltò in direzione dell’uomo, che seppur fosse completamente coperto dall’imponente tronco di un pino, parve poterlo vedere chiaramente. Richiamò l’attenzione delle proprie sorelle, uscendo da quel macabro bagno scarlatto e avvicinandosi all’albero ove Erik era nascosto, lì il suo battito cardiaco aumentò drasticamente.
    Semplicemente puntando la mano nella sua direzione, fu come se una qualche forza invisibile si staccasse da lei, dato che l’albero risultòpercosso come da un colpo di cannone. Ci fu gigantesco boato, mentre l’albero iniziava a cadere addosso a Erik, che poté solamente schivarlo con un balzo laterale, rivelando definitivamente la sua presenza. Strinse forte il pugno e digrignò i denti, cercando di infondersi coraggio per affrontarle, ma non ebbe nemmeno il tempo di compiere un passo verso di loro perché una s’era materializzata dal nulla alle sue spalle, bloccandolo con una forza a dir poco disumana.
    Immobilizzato, le streghe si avvicinarono con quei loro corpi tentatori, e iniziarono a carezzarlo delicatamente con le dita, leccandosi le labbra, in fondo era un bel ragazzo e potevano divertirsi con lui prima di ucciderlo. La strega alle sue spalle, con il braccio libero, evocò nuovamente quel pugnale assassino, e stava per lacerare l’arteria del ragazzo, quando la compagna le bloccò il polso di fretta e con fermezza, urlandole di arrestarsi. Improvvisamente, Erik iniziò a gemere di dolore, sentendosi come ustionato da qualcosa, mentre a intervalli regolari quei versi sofferenti si sostituivano a un latrato canino. Sul suo petto, attraverso i vestiti, apparve il simbolo del pentacolo capovolto, facendo loro capire chi era colui che avevano di fronte.
    -Costui è un servo del nostro signore, è uno di noi- Sentenziò la strega che aveva fermato la compagna.
    Le tre lo lasciarono libero, allontanandosi verso il loro calderone, rimanendo nude e senza pudore, osservandolo e ridendo delle sue disgrazie. Con furia subito negò di essere un servo del demonio, lui era libero e si sarebbe rifiutato di compiere altre stragi, desiderava solamente liberarsi di quella maledizione. Le streghe gli risero in faccia con gusto, spiegandogli che nemmeno loro potevano fare qualcosa per il suo problema, non entrava nelle loro competenze.
    Disperato, e senza più una ragione di vita, s’inginocchiò d’innanzi alle streghe, chinando il capo e prostrandosi con le braccia allungate, come un servo della notte qual era. Le dame di magia nera rimasero piuttosto meravigliate di come un uomo, con il sangue di un lupo mannaro nelle vene, potesse cancellare l’orgoglio per compiere quel gesto di totale umiltà. Una delle sorelle lo raggiunse, si chinò per giungere alla sua altezza, e con l’indice gli prese la parte inferiore del mento, tirandolo su con grazia. Dopodiché s’innalzò da terra, volando e sorreggendo senza fatica un uomo di quella statura con un sol dito. Gli rise in faccia, fissandolo negli occhi, vedendo come fosse amareggiato a doversi sottomettere in quel modo a delle streghe.
    -Potrai trovare entrambe le risposte che cerchi nelle Segrete Incantate- Disse ammaliante la donna.
    Ripose l’uomo a terra con un leggero tonfo, mentre si ricongiungeva con le sue compagne. Presero una coppa mezza sferica che immersero nel calderone, prendendo il sangue e ne bevvero alcuni sorsi, lasciando che delle gocce colassero dagli angoli della bocca. Gli occhi divennero completamente neri, e incominciarono a danzare intorno a quel fuoco vivo con movimenti sensuali e piacevoli indubbiamente per Erik, che comunque aveva il pensiero altrove. Mentre loro ballavano nude al chiaro di luna, le fiamme si sollevarono e si staccarono dal braciere, ruotando su loro stesse in sospensione, mentre assumevano la forma di un medaglione dorato consopra inciso il pentacolo.
    Magicamente esso si posò nella mano destro di Erik, che poté vederlo illuminarsi in prossimità di una delle cinque punte della stella. Una delle streghe si voltò, con ancora gli occhi neri come la pece, gli spiegò di seguire la direzione in cui il pentacolo s’illuminava, in quel modo sarebbe giunto al sentiero per le Segrete Incantate, dove forse avrebbe trovato le sue risposte. Le streghe ripresero a danzare, ignorando totalmente il ragazzo, che soddisfatto diede loro le spalle, andandosene con tutta calma. Ogni tanto si fermava a osservarle, il desiderio della carne in senso peccaminoso c’era pur sempre in un uomo, e ripensava a ciò che aveva visto lì sopra il colle, mentre stringeva tra le mani quel medaglione.
    Poté vedere le leggendarie streghe di magia nera che ancora si muovevano ondeggiando nella notte, compiendo quella danza a cui si dedicavano solamente una volta l’anno. Venerando colui che si allontanava dalla luce, come fedeli serve che seguivano il suo piano superiore, di cui ora anche l’uomo faceva parte. Dunque, quella stessa notte cominciò il pellegrinaggio verso le Segrete Incantate, alla ricerca di risposte e della soluzione ad ogni suo problema.
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    Autore: Red Typhoon Seppy
    Titolo: Into The Enchanted Chamber
    Genere: Drammatico - Fantasy
    Rating: Giallo/Arancione
    Avvertimenti: Long Fic

    Capitolo Primo – The Curse of the Werewolf

    Un lieve vento soffiava da est, smuovendo le foglie delle cime più alte degli alberi, mentre petali di vari fiori svolazzavano leggiadri e sereni. Sull’orlo di un dirupo, un giovane ammirava lieto l’orizzonte, attendendo paziente qualcosa che ancora doveva avvenire, con un accenno di sorriso sul volto. Corporatura slanciata e alta, fisico ben messo, capelli castani lisci mediamente lunghi, e occhi plumbei come l’oscurità che attanaglia la notte. Vestiva di semplici jeans, stivali e maglietta bianca a maniche corte, con le mani in tasca, e due bracciali ai polsi, mentre una lieve frangia sulla fronte ombreggiava gli occhi, dandogli un aspetto tenebroso, alquanto serio.
    Dietro di lui sopraggiunsero dei lievi passi femminili, anticipando una donna dai lunghi capelli corvini molto mossi, che venivano carezzati dal vento, ravvivando la sua figura leggiadra. Occhi cerulei che spiccavano con la sua carnagione olivastra, pelle liscia dai lineamenti marcati ma sinuosi, decisamente era una dama come poche al mondo. Priva di alcuna calzatura, con addosso un semplice top a coprirle il seno e legarsi alle braccia ornato di merletto, mentre un pareo fungeva da gonna lunga con la sua spaccatura alquanto vistosa. Ad impreziosire la sua figura c’erano due grandi orecchini dorati circolari, svariati bracciali su entrambi gli avambracci, una fine cavigliera di diamanti e una collana con una lacrima d’acquamarina.
    La donna aprì le braccia, lasciandosi travolgere da quella ventata di passione primaverile, avvicinandosi con un passo alla volta molto lentamente, a occhi chiusi e respirando a pieni polmoni. Sembrava lieta di vedere quell’uomo immobile, che si voltò nel sentire la sua presenza, per poi tornare a fissare l’orizzonte con aria di sdegno. La giovane lo abbracciò da dietro, passandogli un braccio sopra la spalla e ricongiungendo la mano con la gemella che stava ricurva sul suo fianco. Sussurrò un saluto ammaliante e sensuale nell’orecchio dell’affabile uomo, che prontamente si voltò completamente verso di lei, le afferrò il polso, e la intimò ad andarsene. Testarda e decisa, la ragazza non volle sentir ragioni, allungando le mani intorno al suo mento e sollevandosi sulle punte per rubargli un solo e sfuggente bacio. Con forza questa volta, il ragazzo la spinse via, facendola indietreggiare di qualche passo.
    -Smettila Cleira, sai che non sei tu quella che amo- Disse l’uomo con sguardo vendicatore.
    La giovane rimase folgorata da quell’affermazione, ma soprattutto dagli occhi pieni di rancore. Quei momenti insieme, le nottate passionali nella sua dimora, tutto svanito in una semplice frase, a causa di una sola persona. Ripresa dal duro colpo, si voltò improvvisamente e si mise a fuggire, con le lacrime che lentamente scendevano sul suo volto, delusa da un uomo che credeva l’amasse. Scomparve nella foresta lì vicino, senza più farsi vedere per quella serata, mentre il ragazzo si voltava di nuovo a fissare il tramonto, ormai al termine, attendendo ancora.
    -Mi aspettavi?- Sentenziò una voce femminile sottile e dolce.
    L’uomo si voltò, questa volta sorridente e con occhi più calmi e profondi. La coppia si abbracciò in gesto di saluto, per poi fissarsi in lunghi attimi di silenzio, accompagnati da sorrisi sfuggenti e carezze delicate. La ragazza era bionda, capelli lisci che le giungevano cadenti sulle spalle, occhi azzurri come il ciel sereno, con una viola tra i capelli, accompagnata da una vestaglia celeste e dei sandali. In lontananza, celata nell’oscurità di quella fitta foresta, Cleira continuava a fissare quella coppia, mentre le lacrime continuavano a colare, e i pugni che sbattevano vigorosi contro la corteccia di un albero. Amava quell’uomo, lo desiderava solo per sé, e quella ragazza era solamente un intralcio, e il sogno di vederla scomparire era così concreto che pareva tangibile nel suo sguardo.
    Oramai il sole era completamente fuggito all’orizzonte, lasciando trapelare una luna piena, brillante e meravigliosa in tutto il suo splendore. L’allegro duetto si sedette sulla secca erba di quella brughiera, comoda e tranquilla, con un lenzuolo portato dalla ragazza, ad abbracciarsi mentre ammiravano le costellazioni, che si mostravano una per volta con l’avanzare della notte. La donna rifiutata prese un sacchetto di cuoio celato sotto il pareo, legato tramite un filo intorno alla vita, estraendone una polvere simile a spezie esotiche. Recitò qualche parola in lingua arcaica, mentre sfregava con le dita quell’erba dall’odore di rosmarino che incominciò a diffondersi, trasportato dal vento, e giungendo al uso obbiettivo. Quando riaprì gli occhi finito di pronunciare la sua litania, le iridi erano tinte con contorni rossi, mentre il suo sorriso diveniva sempre più maliardo e demoniaco.
    Nulla parve accadere per i primi minuti, ma poi il ragazzo incominciò a comportarsi in modo alquanto strano. Continuava a portare la mano alla tempia, come se soffrisse d’emicrania, un dolore alla testa molto potente da fargli chiudere gli occhi, stringere i denti e piegarsi lentamente su se stesso. Nella sua mente, s’insinuò una voce flebile ma percettibile, mentre il suo sguardo era sempre più tentato di alzarsi al cielo e fissare l’astro splendente. Fissò la luna con gli occhi strizzati, mentre la voce si faceva più forte, e le parole più comprensibili, qualcosa che fece semplicemente raggelare il sangue.

    -Uccidi-


    I muscoli del giovane pulsavano, frenetici, come se sottoposti a immenso sforzo fisico, seppur stesse semplicemente lì seduto con la sua amata. Preoccupato, le chiese se sentiva anche lei quelle voci, ma ciò che ricevette fu una semplice domanda di risposta: era l’unico. Più le parole continuavano a farsi sentire, con quella voce femminile sensuale e provocante, più in lui nasceva un senso di rabbia che non aveva mai provato prima. I pugni faticavano a rimanere aperti, cadde in ginocchio e piegato, sorretto dalle amabili braccia della fanciulla, che non riusciva assolutamente a capire che gli stava accadendo.
    La rabbia continuava ad aumentare, e seppur lui opponesse resistenza per placarla, essa cresceva con l’aumento della voce nella sua testa. Sembrava che qualcuno gli stesse dando ordini, uccidere, spargere sangue, nutrirsi delle delicate membra umane, come fosse il suo compito, il suo destino, la sua missione. Il suo corpo incominciava a ingrandirsi, i muscoli a espandersi presi da un fremito, e il desiderio di eseguire quelle parole d’odio incominciava a delinearsi. La luna piena irradiava con la sua bianca e candida luce l’uomo, che continuava a struggersi per non lasciarsi prendere da un sentimento tanto primordiale quanto doloroso.
    -Erik, che succede?! ERIK?!- Continuava a urlare la sua amata, trattenendolo con le sue piccole mani.
    Il ragazzo versò una lacrima nel corso della trasformazione, sapeva in cuor suo cosa sarebbe successo se avesse perso il controllo del suo corpo, eseguendo quegli ordini. Sofie, la donna di cui s’innamorò, e con cui avrebbe trascorso il resto della sua vita, probabilmente sarebbe finita spezzata sotto la potenza delle sue dita. Piangeva al sol pensiero che quella bella vita, insieme alla donna amata, potesse concludersi, proprio ora che sembrava aver trovato la felicità dopo anni di terribili situazioni spiacevoli. Maledetto dalla malasorte, ora stava perdendo il controllo contro qualcosa a lui ignoto, e quella mancata conoscenza gli incuteva immenso terrore, così come a Sofie.
    La temperatura corporea aumentava, mentre fitte zone di peluria si facevano largo sulla sua pelle. La pallida luce lunare parve ustionarlo, fiammeggiante e bruciante, mentre il suo sangue sembrava tutto un bollore interno. Tanto bella quanto leggiadra, la luna era un ingannatrice, che plagiava il sensibile corpo umano a provare certe tentazioni, complice di quella maledizione che iniziava ad affliggerlo. Oramai si era capito cosa gli stava accadendo, soprattutto con gli occhi che divenivano topazi brillanti nella notte dalla pupilla verticale e ovoidale, e con le zanne che crescevano nella sua bocca che man mano s’allungava.
    Erik sentiva il suo cuore ardere di un nuovo fuoco passionale, quello dell’ira, che cancellò completamente l’amore per Sofie. Osservò nuovamente la luna, che parve un anello di fuoco che marchiava quella maledizione sul suo fragile animo umano, trasformandolo in una bestia. Ululando alla luna, stava diventando un lupo mannaro, assetato di sangue e voglioso di nutrirsi di carne, la trasformazione oramai si stava completando, e la giovane amata nulla poteva fare per impedirlo.
    Un folto pelo nero iniziò a farsi strada, coprendo ogni parte rosea del suo corpo, mentre le gambe si articolavano in modo totalmente differente. Il muso si allungò e riempì di aguzzi denti sanguinanti, e le unghie diventavano affilati artigli per lacerare il silenzio della notte. Un poderoso ululato che segnalava la conclusione di quella mutazione lupina, rendendo il giovane Erik un uomo lupo a tutti gli effetti, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue.
    Dentro di sé, lo spirito di Erik rimaneva però cosciente, aveva solo perso il controllo del suo corpo. Sentiva la voglia di estrarle il cuore dal petto e divorarlo, ma cercava di far forza, inutilmente, la sua voce era muta e la bestia aveva il pieno potere, nulla di umano era rimasto. Un regno di terrore era destinato a nascere, si vedeva chiaramente negli occhi della ragazza, che indietreggiava e inciampava, cadendo a terra, strisciando come un verme inerte. Con un balzo l’animale la raggiunse, e con un semplice morso le lacerò la carotide, con immensa dispersione di sangue che incominciava a colare e tingere quell’erba secca, rinvigorendola di nuova vita.
    La luna piena in quel momento, fu coperta dalle grigie nubi notturne, filtrando la sua luce. Velocemente, il ragazzo ritornò umano, riprese coscienza e controllo del suo corpo, ma purtroppo era troppo tardi. Tra le sue braccia stringeva la donna che amava, oramai priva di vita, mentre si tingeva le mani di cremisi del suo nettare vitale. Rimase basito per alcuni attimi, tremante di paura e sconforto, per poi chiudere gli occhi e urlare a tutto fiato verso il cielo la sua negazione di quell’atto da lui compiuto. Lacrime incominciavano a versarsi sul viso beato della fanciulla, che con le sue ultime forze lanciò un ultimo sorriso.
    Una risata si fece largo in quegli attimi di dolore, attirando l’attenzione dell’uomo che vide la sua vecchia fiamma rinnegata. Cleira rideva di puro gusto, sadica come poche, poggiata a quell’albero precedentemente utilizzato come scudo visivo, era ormai ovvio il fatto che lei gli aveva lanciato una maledizione. Con tutto il fiato che aveva in corpo, gridò con rabbia e furore il nome di quella maledetta, che volteggiando insieme al suo pareo, scompariva nell’oscurità, senza lasciare alcuna traccia della propria presenza. Ritornando a fissare la dolce Sofie, riprese a piangere, stringendola forte al petto e pregando che ella tornasse in vita, ma tutto era futile.
    La pioggia iniziò a scendere, come un gentile pianto angelico in onore di una simile scomparsa da quel mondo. Il ragazzo, tornato completamente umano, senza più lasciar traccia della sua parte lupina, abbassò lo sguardo e lasciò cadere il corpo al suolo, in segno di resa. La domanda che si fece largo nella sua mente era oramai una sola: quanto sarebbe durata quella sua maledizione? Una singola nottata, qualche luna piena, oppure per l’eternità? L’uomo sperava che fosse tutto un incubo, ma era ormai chiaro che non lo era, e in cuor suo già sapeva la risposta a quel dilemma. Anche se in forma umana, sentiva nella sua mente quelle parole aspre d’odio, che continuavano a desiderare sangue e uccisioni, ma fortunatamente senza la luna, non avevano controllo su di lui. E dunque, sotto quella pioggia rinfrescante, con davanti il cadavere della propria amata, attendeva l’alba, pronto a vivere una vita morta.


    Edited by Liberty89 - 6/8/2012, 16:32
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    Capitolo Tredicesimo – Un’importante alleanza

    Secondo il sistema solare nel quale si trovavano, era finalmente giunto il mattino. Nello spazio questo calcolo era effettuato grazie a uno speciale orologio che automaticamente calcolava la distanza dal sole più vicino, facendo riferimento al pianeta nel quale ci si trovava in orbita. La nave del Capitano d’Acciaio era già in partenza, abbandonando la nebulosa e dirigendosi verso il punto prefissato dai piani ricevuti il giorno prima.
    Quando Gillian si svegliò e notò la nave in movimento, balzò subito giù dal letto, con i capelli arruffati e senza cambiarsi dalle vesti che usava per dormire. Raggiunse il ponte, salì al piano superiore e afferrò il capitano con forza per la maglia. Terry rimase interdetto e basito di fronte ad un simile comportamento, soprattutto da un ragazzino come Gillian, non riusciva proprio a comprendere cosa l’avesse spinto a compiere un gesto del genere.
    -Ferma quest’attacco insensato, ci sono delle vite su quella nave!- Urlò il ragazzo al capitano.
    L’uomo rispose dandogli uno schiaffo con il dorso della mano, e data la fragilità del giovane, quest’ultimo cadde a terra, tenendosi il punto dolente. Alzò lo sguardo verso il capitano, con gli occhi lucidi e pronti a scoppiare in un pianto dato dalla rabbia e dalla frustrazione, sbattendo fragorosamente il pugno verso il suo superiore, e urlandogli contro ancora parole aspre e amare.
    -Lo capisci che ci sono anche persone per bene tra i nobili?!- Disse con decisione e aggressività.
    -Siamo pirati oltre che cacciatori, queste cose accadono figliolo. La gente vive e muore ogni giorno, l’universo non piangerà per qualche centinaio di vittime per quanti ne esistano sui vari pianeti. Dannazione, non vedi che non possiamo nemmeno deciderlo? Fosse per me non attaccherei quella nave, ma hai sentito gli ordini del Musico Nero, dobbiamo farlo altrimenti a perire saremo noi. Sarò egoista, ma preferisco uccidere cinquecento vite piuttosto che perdere la mia.- Replicò furibondo il capitano.
    L’uomo fece un semplice cenno con il capo, richiamando Kurt, che subito prese in spalla il ragazzo. Quest’ultimo cominciò a dimenarsi, sbattendo i suoi piccoli pugni sulla massiccia spalla dell’uomo, che non risentiva affatto dei suoi deboli colpi. Urlava di venir messo giù, continuava a ripetere che non bisognava attaccare quell’imbarcazione, di rifiutare l’ordine di quel maledetto Musico. Kurt lo portò nella stiva, chiudendolo in una stanza magazzino, con l’intenzione di estraniarlo dalla lotta fin quando non avrebbe avuto fine. Il giovane però, non si arrese, quindi proseguì nella sua protesta, sbattendo i pugni contro la porta, e sferrò delle spallate per far sì che essa si aprisse, ma il suo tentativo fu un vano spreco di energie, perché era ancora troppo gracile e debole.
    La nave da crociera era già più visibile, e grazie al campo gravitazionale della nave parte della nebulosa era stata temporaneamente assimilata, quindi potevano usarla come copertura. Terry fece posizionare la nave nel punto strategico come gli era stato ordinato, controllando svariate volte la mappa per essere sicuro di svolgere il suo compito alla perfezione. Ed ecco che la vistosa nave passò affianco a quella pirata, e come ci si aspettava, sfruttando quella tecnica non furono minimamente localizzati. Quando il bersaglio giunse in prossimità della postazione in cui si trovava la ciurma dell’Imperatore Pirata, essa uscì allo scoperto, provocando una reazione immediata della crociera, che virò completamente verso destra, pronto a tornare indietro.
    La St. Makelele era ormai perpendicolare rispetto alla nave mirata, quindi Steel si fece avanti a sua volta, virando e assumendo la medesima posizione dell’alleato. La crociera era in trappola, e virò nuovamente, compiendo un giro di tre quarti, diventando parallela ai due nemici ben in vista. Due arpioni partirono dalla nave del Musico, che bloccarono la crociera, mentre Kurt ordinava il fuoco. Dal fianco della nave si aprirono gli sportelli da cui fuoriuscirono le terribili bocche dei cannoni ionici, che spararono e colpirono il loro bersaglio, provocando le prime esplosioni e l’arresto del motore.
    Sulle due catene legate agli arpioni, erano visibili masse di umanoidi che scivolavano su di esse, per abbordare la crociera, ed erano chiaramente in vista le fiamme apparentemente vive di Jessie. La nave d’acciaio continuava a fare fuoco, la chiglia della crociera non reggeva ormai più, e ben presto quella porzione di universo si riempì di frammenti della sua struttura. Con un gesto delle mani, Terry indicò di cessare il fuoco, non c’era bisogno di sprecare altre munizioni sul nemico, ormai la crociera era devastata, e bombardarla ancora significava solamente distruggere il campo gravitazionale, il che avrebbe ucciso anche i pirati del Musico. Mentre la lotta persisteva, avviarono la nave in modo da avvicinarsi alla St. Makelele, così da portare a termine gli accordi. Al loro passaggio, vedevano che lentamente le truppe iniziavano a ritirarsi con il compenso di quella razzia, ormai mancava poco e tutto sarebbe terminato.
    Gillian intanto, a furia di sbattere contro la porta, pur lussandosi la spalla e procurandosi un vistoso livido, riuscì a uscire dal magazzino nel quale era rinchiuso e senza perdere altro tempo, corse subito sul ponte, dando fondo a tutto il fiato che aveva in corpo, nella speranza di riuscire a fare qualcosa, ma non sapeva che oramai era troppo tardi.
    L’Arcano Rubino tornò sulla sua nave soddisfatta e compiaciuta, poiché della crociera era rimasto un semplice ammasso di rifiuti, era stata completamente distrutta. Sulla prua della St. Makelele intanto, si fece largo la figura di un uomo, indubbiamente il Musico Nero, si vedeva solamente la sua sagoma distorta, che portava il braccio all’indietro per caricare un pugno. In quel momento, Gillian raggiunse il ponte e si affacciò oltre la balaustra giusto in tempo per vedere quella figura che dando un pugno nel nulla, fece esplodere tutto ciò che restava di quell’imbarcazione e delle vite che ospitava, mentre le lacrime grondavano dal suo viso senza controllo.
    La nave era stata distrutta, il giovane non era riuscito a fermare il massacro, e con l’animo a pezzi e gli occhi ancora colmi di lacrime da versare corse nella sua stanza a fissare la valigetta contenente quel vecchio e raro fucile, unico ricordo dell’uomo tanto distinto che gliel’aveva donato.
    Passò circa un’ora dall’attacco, quando Donnovan bussò alla porta del ragazzo, avvisandolo che stavano cominciando le trattative sul ponte. Gillian era combattuto se seguirlo o meno. Era troppo triste, anche se doveva ammetterlo, avrebbe voluto davvero conoscere il Musico Nero, l’uomo che con un unico pugno era stato capace di cancellare le ultime tracce di quella maestosa nave da crociera, un gesto a dir poco incredibile. Ripose la valigetta al suo posto, e per l’ennesima volta in poche ore, salì sul ponte, lasciando che la sua mente immaginasse l’aspetto dell’Imperatore Pirata, vedendolo come un uomo alto, grosso, pompato di muscoli come Kurt e con una lunga barba da saggio eremita.
    Giunto in coperta, vide il tizio vestito da maggiordomo e Jessie, del loro capitano ancora non v’era traccia. Terry fissava la ragazza negli occhi, mentre quest’ultima allungava il braccio con una sacca piena di ricchezze, la loro parte di ricompensa, mostrando che il Musico Nero aveva mantenuto il patto, e li avrebbe lasciati liberi, niente doppiogioco o attacchi a tradimento.
    -Tenete, questa è la vostra parte di compenso. Il capitano è un uomo d’onore che rispetta gli accordi, vi ringrazia e si complimenta con voi per l’ottimo lavoro svolto.- Disse la vice capitana.
    -E a tutte quelle persone morte non ci pensate?!- Urlò Gillian, questa volta senza lacrime, ma con occhi iracondi e aggressivi.
    Jessie lo guardò con sguardo serio e furioso, chiedendosi come osava quel moccioso rivolgersi così a lei, e d’istinto infiammò la mano, quasi a volergli tirare un pugno e farlo sparire dalla faccia dell’universo.
    -Lì sopra c’era un mio amico, dannazione! Era una brava persona!- Continuò.
    -Già, scommetto che era veramente un uomo di classe.- Aggiunse una voce vagamente familiare alle orecchie del ragazzo.
    Gillian si voltò per trovarsi accanto un uomo, ma non uno qualunque. Quel misterioso uomo elegante dai lunghi capelli corvini, vestito con cura e dai modi raffinati era di nuovo apparso dal nulla, proprio al suo fianco. Tutti quanti i presenti si voltarono improvvisamente, sconcertati e intimoriti, poiché nessuno si era accorto della presenza di quello sconosciuto, e nemmeno sapevano come avesse raggiunto tale posizione. L’uomo questa volta teneva un calice di vino rosso nella mano destra mentre la sinistra si reggeva al bastone da passeggio. Nel vederlo, Gillian sorrise e lo abbracciò d’istinto, asciugando una piccola lacrima di gioia sulla sua giacca all’altezza dell’addome, lasciando Jessie e il maggiordomo basiti.
    -Ehi ragazzino! Come osi toccare il capitano?!- Urlò furibonda Jessie.
    I presenti, che già per l’apparizione improvvisa erano rimasti a dir poco stupiti, ora avevano letteralmente gli occhi fuori dalle orbite e la mascella che rasentava il pavimento. Gillian stesso, appena udì quelle parole, lasciò la presa e fece un paio di passi indietro, guardandolo in faccia mentre quest’ultimo sorseggiava il vino con tranquillità e nonchalance.
    -L-lui è il leggendario Musico Nero?!- Dissero all’unisono i componenti della ciurma di Terry.
    La loro incredulità era data soprattutto dall’aspetto dell’Imperatore Pirata, perché appariva dannatamente giovane e bello, oltre che di corporatura esile e slanciata, vestito come un ricco nobile. Il Musico Nero era un pirata che dominava da oltre sessant’anni, come faceva a sembrare un uomo di appena venticinque o trent’anni? Intorno alla sua figura ruotavano un mucchio di misteri, soprattutto il dubbio se fosse realmente lui l’artefice dell’esplosione finale della crociera, perché era quasi impossibile crederci.
    -Oh Jessie cara, esageri sempre e ti preoccupi per me inutilmente.- Sentenziò l’uomo.
    -Il medico ha detto che devi riposarti, e smettila di bere alcolici!- Lo sgridò lei, avvicinandosi a pochi centimetri da lui, puntandogli l’indice accusatorio addosso e agitandolo con rabbia. L’uomo la ignorava, sorseggiando il suo vino e le rise in faccia.
    -Signori, vi ringrazio per il vostro aiuto in questa missione, ve ne sono immensamente grato. Avete ottenuto la vostra ricompensa, ora lasciate che vi dia un ultimo dono. Questo è uno speciale sigillo, significa che d’ora in poi siete sotto la mia protezione, se incontrate i vari campioni mostratelo a loro, la maggior parte non dovrebbe osare farvi del male, i pirati normali invece dovrebbero averne paura.- Asserì l’Imperatore, che con un gesto della mano fece avvicinare il suo maggiordomo, il quale teneva sottobraccio un forziere minuto, che una volta aperto mostrò il famoso sigillo, un bracciale dorato con il suo simbolo, il teschio con il monocolo e il cilindro.
    -Ora andiamo, e se non ti metti e riposare giuro che la prossima donna che porti sulla nave la brucio!- Minacciò nuovamente la vice capitana al suo superiore.
    -Vengo vengo… sa essere davvero crudele, e non l’avete vista al suo peggio. Ragazzo, confido in te, e mi raccomando il mio fucile. Capitano Steel, lieto di aver fatto la vostra conoscenza, e vi auguro di raggiungere un giorno la vetta.- Disse Joseph, che diede loro e spalle e s’incamminò, tranquillo e allegro con l’Arcano Rubino e il maggiordomo al seguito.
    Gillian allungò la mano e cercò di fermarlo, ma questi lo ignorò. Aveva parecchie domande che gli ronzavano per la testa, soprattutto come faceva un uomo così per bene ad aver voluto compiere una tale razzia disumana e crudele? Senza contare tutte le altre domande sulla sua vita.
    Ormai, però, era andato via, e la loro nave ripartì veloce verso nuovi orizzonti, lasciando la ciurma a continuare il proprio viaggio. Evitando si perdere altro tempo, Terry diede le nuove istruzioni all’equipaggio, ordinò che si faceva rientro a Lunaria, poiché c’erano ancora un mucchio di questioni da risolvere e lavori da fare. Donnovan poggiò la mano sulla spalla di Gillian per confortarlo un po’, nonostante il suo viso apatico comprendeva il suo dolore, invece Emily gli sorrise, prendendolo per mano e portandolo a giocare sul ponte.


    Edited by Liberty89 - 27/6/2012, 23:28
  9. .
    Capitolo Decimo – Rinascita del Nulla

    Alla richiesta di sentire la storia della sua vita, Donnovan non fu esplicito, si limitò a raccontare che proveniva da un pianeta che oramai non esisteva più, senza fare nomi o dare indicazioni. Tenne per sé la storia sulle sue origini, non entrò nel dettaglio, disse solamente di essere un guerriero che, privato della sua terra natia, vagava nello spazio in un lungo allenamento. Così, spiegò anche come giunse lì, su quel pianeta verdeggiante, e del perché decise di recarvisi e di rimanervi con l’unico scopo di temprare il proprio spirito e rafforzarsi. Anche nel dire solamente quei due dettagli della sua vita, l’uomo abbassò lo sguardo, nascondendo malinconia e tristezza interiore, per poi tornare a fissare il ragazzo con serietà, senza alcuna traccia dei sentimenti che in realtà gli attraversavano l’anima.
    Gillian non riusciva a capire bene chi avesse davanti. L’uomo gli aveva detto relativamente poco sulla propria identità, e quella maschera di apatia mista a spiragli di espressioni mute non aiutava di certo nella comprensione. L’unica cosa che sapeva, e che d’altronde gli interessava, era il fatto che Donnovan sapeva destreggiarsi davvero bene nell’arte della spada, e appariva come un uomo potente e senza eguali. Il giovane si ritrovò ad ammirarlo, desiderando di diventare come lui un giorno, passando le giornate ad allenarsi e diventare più forte, per proteggere la sua terra, la sua ciurma, la gente a cui voleva bene.
    -Mi faresti da mentore?- Chiese il ragazzo con gli occhi luminosi.
    -No.- Replicò secco e grave l’uomo, che s’alzò e uscì dalla grotta subito dopo.
    Rimasto solo, il ragazzo si rannicchiò su se stesso, domandandosi ora che cosa avrebbe fatto. Non sapeva dove si trovava, si era allontanato troppo dagli altri, con cui non poteva nemmeno comunicare, con l’unica compagnia di uno sconosciuto. Seppur ignoto, Gil avvertì uno strano affetto per il guerriero, non solamente ambizione, più che altro dava l’impressione di volergli stare vicino e colmare quel vuoto nel suo passato ignoto.
    Lo spadaccino ritornò poco tempo dopo, trascinando con sé la carcassa di un piccolo animale, un cinghiale dal pelo giallo, e notò fin da subito che il ragazzo era scomparso, ma la cosa non lo turbò particolarmente.
    Il tramonto giunse rapidamente, tingendo tutto di un arancione intenso, e ancora nessun segno del ragazzo. Gil ritornò in quelle ore tarde, lievemente sporco di terra, stringendo tra le mani un’ingente quantità di fiori rari ed esotici, dai mille colori. A quanto pareva, si annoiava a rimanere fermo e immobile nella grotta ad attendere il ritorno del padrone di casa, e ne aveva approfittato per andare a raccogliere fiori, e anche qualche frutto dall’aspetto appetitoso. Giunto lì, salutò l’uomo, porgendogli ciò che aveva trovato, come segno di gratitudine e amicizia ma Donnovan non parve smuoversi dalla sua espressività assente. Afferrò semplicemente il mazzo, per poi gettarlo nelle fiamme, facendo subito innervosire il giovane, che versò qualche lieve lacrima di rabbia, per poi sdraiarsi e dargli le spalle.
    Scese poi la notte, tranquilla e silenziosa, e Donnovan decise di uscire un po’ ad allenarsi, poiché non aveva particolarmente bisogno di sonno. Prima di alzarsi dal tronco su cui sedeva, però, notò che uno dei fiori che aveva gettato sul focolare era rimasto intatto, sfuggendo all’amaro destino in cui era incappato il resto del mazzo per pura fortuna. Lo raccolse tra l’indice e il pollice, osservandolo da vicino: un esemplare molto bello di Kaledia, dalla forma allungata che andava ad aprirsi con petali piatti e bruni, su cui vi erano delle macchie nere. Era uno dei fiori che in quel vasto universo rappresentava la solida amicizia, data la sua rarità, e donarlo era segno di grande auspicio. Si alzò, dando uno sguardo fugace al ragazzo, che si era addormentato di sasso quasi subito dopo quella scenata, e ora tremava dal freddo. L’uomo osservò il fiore, mettendolo nella tasca del cappotto, per poi avvicinarsi al ragazzo e coprirlo con la propria giacca. Assicuratosi che Gillian fosse nelle condizioni più consone, uscì dalla grotta, per una sessione notturna di allenamento, con l’intenzione di ritornare al sorgere del sole.
    Il mattino si fece largo dopo quella lunga nottata, e Gillian si svegliò riposato, per poi notare con sommo stupore che era coperto dalla giacca di quel misterioso guerriero. L’altro particolare che attirò i suoi occhi, fu la presenza in una delle tasche, di uno dei fiori da lui raccolti la sera prima ancora intatto, ciò gli fece fare un piccolo sorriso compiaciuto, quasi di vittoria. Donnovan rincasò in quel momento e vide il ragazzo sveglio.
    -Vieni con me.- Sentenziò senza indugi.
    -S-sì.- Rispose titubante Gil, che lo seguì immediatamente.
    Fu portato fuori dalla grotta, nelle vicinanze si trovava un lago molto piccolo dalle acque cristalline. Mentre Gillian, come il ragazzino qual era, si era messo sul bordo a fissare intensamente e con occhi curiosi quella formazione d’acqua, Donnovan lo spinse con il piede senza pensarci due volte, come se fosse la cosa più normale da fare. Il ragazzo cadde di peso nell’acqua, e riemerse lamentandosi con l’uomo per il gesto.
    -Sei sporco e puzzi, ti conviene lavarti.- Spiegò l’uomo con la sua solita apatia.
    Gillian a quel punto, sorrise, per poi ripensarci e diventare alquanto timido. Donnovan lo intimò a muoversi, anche perché non aveva nulla di cui vergognarsi, essendo entrambi uomini con le stesse caratteristiche fisiche. Il giovane incominciò a togliersi gli indumenti, poggiandoli sulla riva del lago, che furono prontamente raccolti da Donnovan, che poi li stese sul ramo di un albero lì accanto. Il ragazzo, sentendosi ormai a proprio agio e dimentico della timidezza, cominciò a lavarsi, ma già che c’era si mise pure a nuotare e divertirsi. L’uomo stava ancora appendendo i vestiti, quando i suoi occhi ricaddero su quella bella giacca e il simbolo dell’aquila rossa, che però non rievocava nulla dalla sua memoria. Quando finì, si limitò a sedersi su un masso lì vicino, osservando l’ambiente che lo circondava, come un vigile guardiano pronto a intervenire nel caso dell’attacco di qualche strana bestia.
    Mentre Gillian nuotava, Donnovan si alzò improvvisamente, tornando sul bordo del lago, stringendo la propria spada in una mano. Il ragazzo lo guardò confuso, non capendo cos’avesse intenzione di fare con quella lama dato che non vedeva alcun pericolo nelle vicinanze. Lo spadaccino tenne la katana in obliquo verso il basso, ponendo il filo della lama verso l’alto e impugnandola con la destra, mentre la sinistra chiudeva la mano sul pomolo. Veloce e fulmineo, eseguì un fendente verso l’alto, un movimento che fu percepito appena dalla vista del giovane ma nulla accadde, non subito perlomeno. Improvvisamente, le acque si divisero, come se fossero state tagliate in due, mentre veniva sbalzato in aria un grosso pesce piranha, lungo due volte l’altezza del guerriero. Impaurito, Gillian si allontanò, mentre la carcassa morta della bestia ricadeva con un sonoro botto e schizzo d’acqua nel lago, galleggiando sulla superficie.
    -Il pranzo è servito.- Disse semplicemente il guerriero con naturalezza.
    Donnovan a quel punto, rinfoderò la spada, ed entrò in acqua con tutti gli indumenti. Prese il pesce per la coda e lo trascinò fuori dall’acqua, portandolo all’interno della grotta, dando uno sguardo fugace al ragazzo come per dirgli che l’ora di fare il bagno era finita e che poteva anche uscire. Il giovane, rimasto solo, uscì dall’acqua, andando a recuperare i propri indumenti e li indossò, anche se non erano del tutto asciutti ma poco importava. Quando entrò nella grotta, vide l’uomo che cucinava il grosso pesce a pezzi sopra il focolare, mentre la carcassa tagliata era stata ammassata vicino all’ingresso.
    Gillian era leggermente titubante, il pesce era alquanto brutto a vedersi e non si fidava di mangiarlo. Donnovan lo osservava confuso, cercando di capire come mai fissasse il pasto senza addentarlo, finché non intuì quale fosse il problema. A quel punto, allungò la mano verso un pezzo di carne, e ne diede un morso, osservando attentamente il giovane, che nel frattempo non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un istante. Rincuorato che il pasto era commestibile, il piccoletto cominciò a divorare con voracità il pesce, mentre Donnovan riprese la propria postura corretta e seria, chiudendo gli occhi come in un momento di pace e riposo.
    Poco dopo iniziarono ad udire alcuni rumori in lontananza, sembravano voci flebili che gridavano un nome. Era la ciurma di Steel, che non sembrava intenzionata ad abbandonare il proprio mozzo, perché era diventato oramai uno di loro, parte integrante di quella grande famiglia. Gillian subito scattò fuori dalla grotta, in modo da essere visibile ai suoi compagni, mentre Donnovan si alzava con leggera calma e lo seguiva con passo molto cauto e lento. Dalla fitta coltre di tronchi e fogliame comparvero le prime figure umane, tra cui spiccava quella di Kurt che impugnava un grosso macete per defogliare le piante. Appena videro il ragazzino, che saltava felice agitando le braccia per rendersi visibile, da dietro gli uomini apparve la giovane Emily, che gli corse incontro e con un balzo si fiondò su di lui, abbracciandolo forte. Lacrime grondavano lievi sul viso della ragazza, che andavano asciugandosi sulla maglietta del giovane. Si era seriamente preoccupata, e oramai si era affezionata a Gillian, che semplicemente ricambiò il gesto dell’abbraccio e le accarezzò il capo con l’intento di tranquillizzarla.
    Terry apparve pochi attimi più tardi, con il suo solito sguardo serio e furioso, avvicinandosi al giovane e attendendo che la figlia sciogliesse quella stretta e si allontanasse. Non appena lo ebbe davanti, afferrò il ragazzo per il colletto della maglia, alzandolo da terra di qualche centimetro, avvicinandolo al suo volto e fissandolo negli occhi.
    -Hai seriamente fatto preoccupare mia figlia fino a farla piangere…- Sentenziò l’uomo.
    Il capitano, preso dall’ira, sferrò un gancio destro verso il viso del giovane, che però non arrivò mai a sfiorarlo perché fu bloccato in tempo. La mano forte ma gentile di Donnovan accusò il colpo, attirando l’attenzione di Steel, che lo osservava con ira crescente e irritazione. I due uomini si scambiarono sguardi seri in silenzio, fissandosi negli occhi a lungo, lasciando tutti gli altri con il nodo alla gola, curiosi di sapere cosa sarebbe accaduto dopo quel gesto tanto impertinente di uno sconosciuto che si era intromesso nelle faccende del Capitano d’Acciaio.
    -Lascialo.- Asserì Donnovan con il solito tono.
    Terry obbedì qualche attimo dopo, rilassando il pugno e poggiando il ragazzo a terra, tornando a rivolgersi a lui.
    -La prossima volta che la farai piangere non sarò così clemente, vedi di obbedire al tuo capitano d’ora in poi.- Specificò l’uomo, che gli diede le spalle, così come fecero tutti, sottintendendo che dovevano andare, e che il giovane doveva seguirli.
    Gillian fece qualche passo seguendoli, per poi fermarsi e voltarsi verso colui che lo aveva salvato, vedendolo lì in piedi con uno sguardo strano. Donnovan non lo avrebbe mai ammesso, ma la compagnia di qualcuno dopo tutti quegli anni di solitudine non gli era dispiaciuta per niente. La sua apatia era dovuta alla distanza dalla società e dalla mancanza di rapporti con altre persone. Per la prima volta in tutta quella convivenza, il giovane vide sul volto del guerriero dagli occhi vuoti, un pizzico di vera tristezza lucente, e così si fermò totalmente. Il capitano arrestò la marcia, voltandosi dubbioso su cosa volesse fare il giovane, che, intanto, tornò accanto a Donnovan, cogliendo tutti di sorpresa, anche il guerriero stesso.
    -Può venire anche lui con noi?- Domandò il ragazzo al suo capitano.
    Attimi di silenzio regnarono nella foresta, spezzati unicamente da qualche cinguettio in lontananza. Donnovan aveva le sopracciglia innalzate dallo stupore, perdendo quasi la sua apatia, mentre Terry continuava imperterrito a mostrare la serietà impressa nei suoi occhi come un marchio. Il capitano diede loro nuovamente le spalle, senza proferire verbo e donandosi degli attimi di riflessione.
    -Se lui è d’accordo, può venire con noi.- Sentenziò l’uomo in nero.
    -Vieni con noi! Vedrai che ti divertirai, e avrai nuovi amici e una nuova casa!- Urlò Gil, tirando la manica al guerriero. -Ho bisogno di te, ho bisogno di qualcuno… qualcuno che mi protegga.- continuò, attirando con quell’ultima parola l’attenzione dell’uomo.
    Donnovan rimase in silenzio, lo fissò negli occhi e il suo unico gesto fu fare un cenno d’approvazione con il capo, accennando a un piccolissimo sorriso per poi avviarsi verso l’inizio di una nuova vita.



    Capitolo Undicesimo – Un Incontro Pericoloso

    Recuperato il mozzo disperso e un nuovo misterioso compagno, la ciurma fece ritorno alla nave e s’imbarcò, oramai la missione di caccia era stata compiuta, e più avanti sarebbero tornati a Lunaria per ricevere il compenso in denaro.
    La prima cosa che avvenne dopo la partenza, fu la convocazione di Donnovan nella cabina del capitano, per discutere di alcune questioni pratiche. Il guerriero entrò nella stanza dopo aver bussato e ricevuto il consenso, rimanendo fermo all’ingresso, mentre Terry era seduto alla sua scrivania, piena di carte sparse in giro in evidente disordine.
    -Per poterti considerare ufficialmente un membro della mia ciurma, devo sapere tutto su di te… di che razza sei, da dove vieni, dati anagrafici basilari, ma soprattutto abilità particolari e se hai fatto un patto con un demone.- Esordì secco e deciso l’uomo.
    -Il mio nome è Donnovan, vengo da un pianeta ormai distrutto di nome Creyos, sono un mastro della spada e non ho fatto alcun patto demoniaco, questo è tutto ciò che hai bisogno di sapere.- Replicò freddo.
    Terry lo fissava con sguardo penetrante, cercando di scorgere qualcosa attraverso i suoi occhi e il suo viso. Sapeva che nascondeva qualcosa, soprattutto perché non aveva specificato di essere un umano, non aveva minimamente accennato alla sua età e quel suo atteggiamento apatico, pareva il tipico comportamento dell’autoconservazione. In compenso, sentiva di potersi fidare, tutta quella serietà faceva comprendere che fosse un tipo coscienzioso, determinato, e se Gillian si era affezionato a lui, di sicuro era uno a posto. In ogni caso, lo avrebbe tenuto d’occhio, non si poteva sapere cosa nascondesse in realtà e poteva anche rivelarsi come una spia della federazione o un cacciatore di taglie che vuole giocare d’astuzia.
    -Capitano! Una nave in avvicinamento! Nessuna informazione a riguardo!- Urlò la vedetta tramite il ricevitore.
    -Tutti in posizione d’attacco, bisogna prepararsi nell’eventualità di un nemico ostile.- Replicò l’uomo nell’apparecchio, dando l’ordine preciso a tutta la nave.
    I due uscirono dalla cabina, e corsero subito sul ponte per vedere che situazione era andata a crearsi. Gli uomini correvano da tutte le parti con ordine, senza intralciarsi l’un l’altro a causa della fretta, direzionando i cannoni, appostandosi con i fucili e imbracciando le armi per eventuali abbordaggi. La vedetta indicò il punto nel quale il radar riceveva il segnale di una possibile nave nemica: una nebulosa rosacea che impediva la visione di chi si nascondeva al suo interno. La tensione era elevata e palpabile nell’aria, come se fosse un membro dell’equipaggio, gli uomini non sapevano chi ci fosse dall’altra parte di quella coltre delicata, e potevano subire un attacco a sorpresa in qualsiasi momento. Passarono attimi di silenzio totale, quando una punta iniziò a uscire dalla nebulosa: la nave sconosciuta stava per mostrarsi alla ciurma del Capitano d’Acciaio in tutto il suo splendore.
    Un’imbarcazione dal legno scuro, logorato dal tempo in alcuni punti, ma ben conservato e lavorato, era una nave pirata a tutti gli effetti, qualcosa che solamente un individuo ricco e potente poteva permettersi. La polena era in pregiato marmo, raffigurante una donna angelica, con le mani incrociate e congiunte sul petto, al posto delle gambe presentava una forma strana, come fossero fatte d’acqua. La cosa che però colpì i presenti, fu il nome impresso sul lato della nave, ove si leggeva “St. Makelele”. Una scritta che fece impallidire tutti i membri dell’equipaggio di Steel, con espressioni attonite e piene di paura.
    -L-l-la St. Makelele! È la St. Makelele!- Urlò in preda al panico la vedetta.
    -Nuovo ordine! Preparate i motori! Dobbiamo fuggire immediatamente!- Sentenziò il capitano con urgenza.
    Gli uomini abbandonarono le loro postazioni di guerra, e corsero subito ai motori per caricarli a massima potenza, oltre che per controllare che tutto andasse per il verso giusto. Non ebbero però nemmeno il tempo di dare il via, che due arpioni furono scagliati contro la nave, e furono tanto potenti da lacerare le lamiere metalliche che formavano lo scafo dell’imbarcazione di Steel, per poi agganciarsi al loro interno. Era troppo tardi per fuggire, oramai l’abbordaggio era imminente, dovevano solamente imbracciare le armi e pregare di essere risparmiati oppure salvati da qualcuno tanto coraggioso o pazzo da provarci.
    Gillian rimaneva al fianco di Donnovan, sentendosi al sicuro, ma rimaneva comunque spaesato e ignaro del pericolo. Aveva paura, il timore di essere all’oscuro di ciò che sarebbe successo di lì a pochi istanti minacciava di sopraffarlo e vedere anche i suoi compagni così spaventati nonostante fossero pirati da parecchio tempo accentuò la sua angoscia; il suo corpo e la sua mente non sapevano come reagire in quella situazione di panico. Donnovan non conosceva il pericolo, ma percepì quello dell’amico, quindi allungò il braccio sinistro davanti al giovane per rassicurarlo e proteggerlo con il proprio corpo, mentre la destra iniziò ad accennare uno sfoderamento della katana.
    Pochi attimi dopo, una figura umana saltò dalla nave nemica, da un’altezza piuttosto elevata e coprendo una distanza ingente, e atterrò sul loro ponte, senza subire danni o altro. Chinata a terra, poggiata tramite un ginocchio e il pugno chiuso, la donna si rialzò, mostrandosi a tutti quei volti intimoriti.
    Il ragazzo la riconobbe, era quella donna vista insieme a Kurt nell’auditorium, e ricordò che faceva parte della ciurma del Musico Nero, l’Imperatore Pirata. Solo allora capì il guaio in cui si erano cacciati, vedendo la ragazza creare nelle proprie mani delle fiamme vive, senza ustionarsi o provare dolore. Sul suo volto era dipinto un sorriso sadico, voglioso d’azione e di mietere vittime, qualcosa di spietato e crudele che mai ci si aspetta da una donna. La ragazza tirò indietro il pugno, e diede cenno di uno scatto in avanti, completamente da sola e priva di rinforzi alleati, sicura di sé e degli effetti devastanti che avrebbe causato.
    -Ferma Jessie!- Sentenziò una voce, fermandola dal compiere il suo attacco.
    Poco dopo sempre saltando agilmente, sulla nave apparve un uomo vestito come un maggiordomo, con l’abito però privo delle maniche, mettendo così in mostra le sue braccia muscolose, aveva lunghi capelli color platino, la cui frangia copriva parzialmente gli occhi chiari.
    -Il capitano non vuole avere casini prima della nuova missione. Inoltre, ha avuto un altro malore, ti conviene andare a vedere le sue condizioni-. Spiegò con calma.
    La ragazza spense le fiamme, digrignò i denti e chiuse forte il pugno, furente per non poter giocare e divertirsi, tuttavia, accettò gli ordini, anche se con evidente contrarietà, e se ne andò arrampicandosi da una delle funi degli arpioni. L’uomo rimasto poggiò la mano sul petto, chinandosi in segno di rispetto e dispiacere.
    -Chiedo umilmente perdono per l’irascibilità della nostra vice capitana. Il nostro signore non ha intenzioni ostili contro di voi, però sarete trattenuti, e chiede che l’indomani voi lo aiutiate nella nostra missione di razzia, ulteriori dettagli vi saranno forniti più avanti.- Illustrò l’uomo, che si dileguò come la sua compagna dopo un nuovo inchino.
    La nave ritornò calma, e la ciurma lanciò un lungo respiro di sollievo. Erano fortunatamente scampati alla furia dell’Arcano Rubino, che era stata costretta a ritirarsi per un malore del suo capitano, il quale non aveva intenzioni ostili al momento, se ne sarebbero usciti puliti semplicemente aiutandoli in una missione. Oltre che essere risparmiati, avevano l’onore di combattere al fianco del pirata più forte e temuto dell’universo, e magari incontrarlo di persona se usciva allo scoperto, erano pochi quelli che conoscevano il suo aspetto.
    Alla ciurma non rimaneva altro da fare che restare ancorati alla nave neo alleata, attendendo di ricevere ordini e istruzioni. Terry era parecchio contrariato a quella missione, ma non poteva di certo ribellarsi contro un individuo di tale rilievo e potenza. La ciurma, invece, era titubante, non avevano la certezza che una volta compiuta la missione sarebbero stati liberi di andarsene, sani e salvi, magari il loro era un compito suicida.
    Gillian e Emily sedevano uno accanto all’altra, mentre la ragazzina mostrava chiaramente di avere paura, stringendo la mano dell’amico. Donnovan era in piedi vicino a loro, che li osservava in silenzio, forse lui era l’unico che non avrebbe avuto remore nell’estrarre la spada e puntarla contro uno come il Musico Nero, probabilmente perché totalmente ignaro di chi esso fosse.
    Passarono un paio d’ore, quando finalmente tornò la ragazza di prima, scivolando dalla fune degli arpioni e arrivando sempre illesa e in perfetta forma sul ponte del capitano Steel. Era vistosamente più furibonda di prima, le motivazioni della sua ira erano sconosciute, ma il problema più grave era che ora erano loro a pagarne le conseguenze. La donna si mise al centro del ponte, in modo che tutti potessero vederla e sentirla, ma l’attenzione l’avrebbe attirata comunque con il fisico che si ritrovava. Distanziò le gambe, poggiando le mani sui fianchi, e urlando a squarciagola ciò che doveva comunicare ai nuovi alleati.
    -Questi sono gli ordini del nostro capitano. Domani giungerà su questa rotta una nave da crociera piena di nobili e ricchi, il vostro compito è quello di chiudere loro la via di fuga. Alle prime ore del mattino, secondo il sistema solare in cui ci troviamo, vi sposterete sulle coordinate segnate sulla mappa stellare che vi fornirò. Fate un buon lavoro e il nostro capitano vi risparmierà e vi darà parte del compenso come ringraziamento dell’ottimo svolgimento dell’incarico.- Spiegò la donna.
    Finito di parlare, lanciò un aeroplano di carta verso il capitano Terry, che lo prese e lo aprì, vedendo una mappa stellare della zona, in cui erano scritte con una biro rossa le varie coordinate, la posizione della nave e una breve sintesi della strategia. La ragazza non si dilungò oltre il discorso, anzi, diede subito le spalle alla ciurma e tornò sulla propria nave il più velocemente possibile, lasciando i presenti con mille pensieri. Erano tutti nel dubbio sul fatto di potersi fidare dell’Imperatore Pirata, ma non c’era altra scelta, la morte era certa in caso di rifiuto, dovevano solamente appigliarsi a quel briciolo di speranza per uscirne vivi. Era inutile agitarsi ragionando ulteriormente sulla situazione, oramai erano dentro il gioco, non rimaneva altro che andare a riposare e attendere l’indomani.



    Capitolo Dodicesimo – Un Regalo Prezioso

    La notte era lunga, e Gillian non aveva sonno. Era impossibile per lui prendere sonno, l’eccitazione e l’adrenalina al sol pensiero dell’indomani lo rendevano attivo e del tutto avverso all’idea di starsene fermo. Uscì sul ponte, a osservare le stelle notturne del vasto universo, con il sole di quel sistema solare abbastanza lontano, era tutto più affascinante. Raggiunse la poppa della nave e si appoggio alla ringhiera, lasciando che i suoi occhi ammirassero quel paesaggio sconfinato, mentre la sua mente faceva un lungo riepilogo di quanto era accaduto.
    Erano ormai diversi giorni che il suo viaggio era incominciato, il tempo sembrava volare via seguendo la scia della nave in cui si era imbarcato, forse era tutta un’impressione dovuta al continuo sbalzo degli orari dei viaggi interspaziali. Aveva trovato una ciurma, un gruppo di pirati forti e temibili, in cui aveva inaspettatamente trovato un senso di famiglia, un legame d’amicizia molto forte. Kurt era gentile, ed Emily ormai spendeva quasi tutto il suo tempo con lui, Donnovan molto lentamente iniziava a mostrare segni di apertura e lo proteggeva. Anche il capitano, sempre burbero e serio, spesso si lasciava tradire e dava segni di riconoscimento e apprezzamento verso il giovane. Ora, si trovava lì, sulla nave dei suoi sogni, e a due passi c’era l’Imperatore Pirata, il tanto temuto Musico Nero. Si perse a immaginare che volto potesse avere, che poteri sapeva sfoggiare, le sue abilità particolari, inoltre aveva una gran bella vice capitana. L’indomani probabilmente, avrebbe scoperto maggiori informazioni sul pirata più forte dell’universo, magari sarebbe anche riuscito a conoscerlo anche solo di vista, per portargli comunque rispetto per il titolo che vestiva. Erano tante le cose accadute in quel lungo viaggio appena al suo principio, e a ricordarle tutte si era perso nei suoi pensieri, ignorando tutto ciò che gli stava intorno.
    -Proprio una bella serata, non trovi?- Disse improvvisamente una voce sconosciuta.
    Gillian si voltò di scatto e sobbalzò nel vedere che, senza che se ne accorgesse, un uomo si era seduto su quella stessa ringhiera a pochi centimetri di distanza da lui. Non apparteneva alla ciurma, e a dirla tutta non sembrava nemmeno un pirata, piuttosto appariva come un nobile uomo distinto e curato. Indossava un completo nero, solamente la cravatta spiccava con quel colorito grigio perla molto intenso. Guanti di seta, stivali molto comodi e pregiati, un cilindro in testa e un fazzoletto bianco che sporgeva dalla tasca sul petto. L’uomo aveva lunghi capelli corvini mossi, profondi occhi nocciola, pelle molto chiara e ben curata, con baffi e pizzetto tagliati corti e ben sistemati sul suo viso giovanile.
    Seduto in modo elegante, con la gamba sinistra accavallata sull’altra, il braccio destro intorno all’addome mentre la mano opposta gli reggeva il mento. Poggiatogli vicino, c’era un bastone da passeggio tipico dei ricchi, fatto in metallo, sulla cui cima c’era un pomo argentato a forma di aquila, molto bello e vistoso.
    -T-tu chi sei?!- Chiese intimorito e titubante il giovane, sconcertato per l’improvvisa apparizione dello sconosciuto.
    -Che sbadato, non mi sono presentato. Io sono Joseph Alexander Kyle, lieto di fare la vostra conoscenza giovanotto. E il tuo nome sarebbe?- Rispose e domandò a sua volta l’uomo.
    -G-Gillian, Gillian O’ Connor, signore.- Replicò il ragazzo, colto dalla timidezza.
    Non sapeva come reagire d’innanzi a quel signore. Era elegantissimo, ogni cosa di lui trasudava regalità, nobiltà e grandezza, e poi aveva un fascino nel suo aspetto così curato e perfetto, un vero gentiluomo. Senza considerare il suo modo di parlare, con l’uso di parole forbite, aveva una voce calda e rassicurante. L’unica cosa che lo lasciò intimorito fu la sua apparizione istantanea, da dov’era venuto?
    Gillian osservò lo spazio, in direzione della missione dell’indomani, e già in lontananza riusciva a scorgere alcune luci artificiali. L’uomo si voltò nella medesima direzione, accorgendosi che il ragazzo stava osservando qualcosa che non gli era chiaro.
    -Bella vero? Una splendida nave da crociera. Viaggia tra sei sistemi solari diversi, fermandosi solamente sei volte per i vari rifornimenti. Passa per le bellezze più importanti dell’universo, come la nebulosa in cui ci troviamo. Senza considerare la piscina, il casinò, il centro estetico e tutte le altre meraviglie che ospita!- Esclamò l’uomo, descrivendo particolarmente bene l’imbarcazione.
    Gillian iniziò a pensare che doveva avere di fronte uno dei passeggeri di quella nave. Se un pirata poteva fare un patto demoniaco per ottenere poteri formidabili, non vedeva perché non lo potessero fare anche altri individui, oppure l’uomo con sé qualche tecnologia speciale che gli aveva permesso di apparire sulla nave del capitano Steel, in fondo era un nobile, doveva avere molti soldi di cui disporre. Questo però, portò molti pensieri alla mente del giovane, sulla prospettiva che l’indomani quella stessa nave da crociera sarebbe stata attaccata. Sopra c’era tanta gente innocente e con una vita che con tutta probabilità sarebbe stata spezzata, e quell’uomo sembrava un tipo per bene, tanto educato e cortese. Ripensamenti e rimorsi iniziarono ad attanagliare il cuore di Gillian, ma doveva aspettarselo che diventando un pirata cacciatore in una ciurma qualunque, ci sarebbe stata la possibilità di dover fare una missione che avrebbe recato danno a terzi, ingenuamente aveva sperato solo in missioni di caccia.
    -Qualcosa ti turba ragazzo?- Chiese l’uomo elegante.
    -No niente, stavo solo pensando…- Rispose sospirando il giovane.
    -Posso guardarti negli occhi?- Domandò infine l’uomo.
    Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere, che allungò la mano sul mento del ragazzo, volgendolo verso sé, e fissandolo intensamente negli occhi. Gil divenne rosso, e parecchio confuso, non sapeva cosa fare, e nemmeno cosa sarebbe accaduto da lì a poco.
    -Hai gli occhi di un sognatore vedo.- asserì l’uomo, senza lasciare la presa. -Mi ricordi tanto un caro amico…- continuò, allungando l’occhio all’aquila rossa cucita sulla spalla della sua giacca. -Sai cosa? Mi sei simpatico, ho un regalo per te.- concluse, aprendo la giacca del suo completo nero, e prendendo da una tasca interna una valigetta molto piccola, porgendola al giovane ancora interdetto.
    Il ragazzo ormai incuriosito la prese e la aprì pressoché subito. Al suo interno c’era un fucile da precisione smontato nei suoi vari componenti, in metallo nero ma graffiato e rovinato, evidentemente logorato dal tempo e dall’uso. Non sembrava avere particolari tecnologie installate, era un modello antico, probabilmente il suo valore era elevatissimo, unico motivo per cui un nobile potesse tenere un’arma del genere, che probabilmente non veniva utilizzata da decenni. Nell’osservare i vari pezzi, notò che il comparto dedito al mirino era vuoto, e il calce era parecchio smussato.
    -Mi fu regalato tempo fa, quando avevo circa la tua età, ora però non saprei proprio che farmene. Vale un mucchio di soldi, è un pezzo d’antiquariato pregiato seppur rovinato, ma il denaro non mi manca di certo. L’unico valore che ha è puramente affettivo, ma sono sicuro che nelle tue mani sarà al sicuro, sento che te ne prenderai cura e che non lo venderai per qualche milione, e magari troverai anche il modo di usarlo.- Spiegò l’uomo.
    Gillian fissava quel fucile con gli occhi che brillavano di gioia. Aveva tra le mani un oggetto il cui valore di mercato era elevato, non aveva mai ricevuto o posseduto nulla di tanto prezioso, e ciò lo rendeva lieto. Non avrebbe mai potuto usarlo, non solo perché un oggetto delicato e pregiato, ma perché un fucile di precisione privo di mirino era inutilizzabile. Oramai Gillian si era affezionato allo sconosciuto, sentiva di potersi fidare e considerarlo un amico, ed era deciso: lo avrebbe avvertito della minaccia incombente.
    -Ecco dov’eri.- Sentenziò la voce di Donnovan, che apparve improvvisamente alle sue spalle.
    Gillian si voltò a guardare l’amico, e quando tornò a fissare l’uomo, quest’ultimo era sparito. Subito guardò tra le sue mani, il fucile con tanto di custodia era ancora lì, reale, quindi non era stato un sogno o frutto della sua immaginazione. Guardò in lontananza quella nave da crociera ancora per la maggior parte celata dalla nebulosa, e si pentì di non aver avvisato l’uomo del pericolo che correvano lui e restanti passeggeri, Donnovan era comparso all’improvviso e probabilmente aveva spaventato l’uomo elegante, che aveva preferito tornare da dov’era giunto.
    -Allora, andiamo a dormire?- Chiese il guerriero.
    -Arrivo.- Replicò Gillian, dando un’ultima occhiata alla nave in lontananza.


    Edited by Liberty89 - 27/6/2012, 21:10
  10. .
    Capitolo Ottavo – Un Pericoloso Azzardo

    Erano già passati due giorni dalla partenza da Lunaria e il conflitto a fuoco con la nave pirata del Fulmine Stellare. Gillian dormiva sotto coperta, nella sua rudimentale branda, che consisteva in un’amaca legata a due tubature nel mezzo della stanza di alcuni uomini della ciurma, tra cui Kurt. Sembrava tutto tranquillo all’orizzonte, quando negli altoparlanti partì un urlo possente, che avvertiva gli uomini della buona novella.
    -Terra in vista! Siamo arrivati a Omea signori!- Esultò la voce allegra.
    Gli uomini si levarono dal loro dolce sonno per correre subito sul ponte, seguiti dal giovane Gillian che si trovava sempre in fondo alla fila. All’orizzonte, potevano chiaramente ammirare un pianeta completamente coperto da diverse tonalità di verde, dalle più chiare alle più scure, mescolate tra di loro come sulla tavolozza di un pittore, prova inconfutabile della presenza di vaste lande verdeggianti e infinite foreste lussureggianti, tuttavia non vi era traccia di mari o grandi laghi, solo un mucchio di fiumiciattoli, incapaci di ospitare la nave nei loro placidi letti. Era un pianeta selvaggio, quindi sprovvisto di un porto ove sbarcare, cosa che obbligò l’equipaggio a effettuare un atterraggio in una delle tante zone piane.
    Una volta trovato il luogo adatto per lo sbarco, la nave si diresse veloce verso di esso.
    Tutti i presenti si erano spostati giustamente sotto coperta, mentre il mezzo passava attraverso gli strati esterni dell’atmosfera, entrando finalmente nello strato più interno che sovrastava la superficie del pianeta. Ci fu un arresto immediato, seguito da un lentissimo atterraggio in verticale, dopodiché, quando la nave ebbe raggiunto una distanza ideale, al posto di calare un passaggio dal ponte, fu aperta la stiva per far scendere l’equipaggio. Gli uomini scesero perfettamente armati ed equipaggiati per intraprendere la missione, solo Gillian ed Emily non disponevano di alcuna arma, perciò rimasero dietro il gruppo a osservare meravigliati il luogo in cui si trovavano.
    Era la prima volta che i due mettevano piede su quel pianeta, quindi tutta quella natura rigogliosa era qualcosa di favoloso e incredibile ai loro occhi meravigliati. Era un ambiente davvero spettacolare, ricolmo d’innumerevoli piante e fiori dai colori e le forme più disparate, e per i due ragazzi che avevano sempre vissuto in pianeti colonizzati e coperti per lo più di rocce, tutto ciò era completamente nuovo e sconosciuto.
    Gli uomini tirarono fuori dalle loro tasche un dispositivo elettronico molto piccolo e di forma circolare, che se premuto al centro emetteva uno schermo turchese trasparente, un computer personale in poche parole. Su di esso, era disegnata una mappa, che indicava la loro locazione e ove si trovava l’infestazione dei Draghim, che andava semplicemente limitata, nulla di complesso.
    Emily prese il proprio ombrello da sole e si sedette su un grosso masso, prendendo a osservare il pianeta in ogni direzione per cogliere più particolari possibile. La ciurma, invece, partì lentamente e con molta cautela, perché non si poteva mai sapere in quali pericoli potevano imbattersi su un pianeta selvaggio, quasi interamente coperto da foreste. Alcuni ovviamente, insieme al capitano, rimasero sulla nave per proteggerla e per occuparsi di fare da supporto e mandare eventuali rinforzi in caso di necessità.
    Gillian non aveva nulla da fare, le pulizie oramai erano fatte, quindi si distese pigramente sull’erba fresca e smeraldina, osservando l’azzurro intenso e limpido del cielo di Omea. Tuttavia, la sua mente non si rilassò a quella placida vista, perché con la coda dell’occhio continuava a osservare gli uomini dell’equipaggio addentrarsi nella foresta, mentre lui era costretto rimanere lì. Il suo sogno era quello di poter vivere incredibili avventure e affrontare mostri pericolosi, e tutto ciò era a portata di mano, come mai lo era stato, ma non gli era concesso di prendere parte alla missione, nemmeno come spettatore. L’invidia straripava dalle sue vene e dal suo cuore, che aveva preso a battere rapidamente come i suoi pensieri, e la sua espressione solitamente femminea e gracile, si fece più marcata e irosa, con le sopracciglia contratte e i denti serrati. Strinse i pugni con forza, serrando l’erba tra le dita che subì impotente quella prima violenza, per poi strapparla via con rabbia crescente. Era stufo di essere trattato come uno schiavo e ritenuto debole, al pari di un bimbo in fasce, aveva voglia di dimostrare a tutti che anche lui sapeva affrontare il pericolo quando se lo trovava di fronte. Infine, i suoi pensieri si fermarono e decise, quindi si alzò tranquillamente, restando un istante immobile a guardare il panorama, spostando lentamente lo sguardo sulla nave e la ciurma che si affaccendava tutt’intorno alla stiva, occupati a controllare che tutto fosse a posto per qualsiasi evenienza, come le formiche che fanno avanti e indietro dal loro nido per sistemare le provviste in vista dell’inverno.
    Il ragazzo si avvicinò lentamente e furtivo verso la stiva della nave. Quando entrò, vide l’arsenale delle armi di riserva incustodito, dopo un breve attimo di esitazione, dovuta al suo carattere che tentava di prevalere su quei pensieri dettati dall’incoscienza dell’invidia, prese in prestito una spada corta, leggera e maneggevole per la sua stazza, osservandola con occhi infuocati e pronto a dimostrare la sua determinazione e il suo coraggio, poi uscì. Nessuno lo vide e, a quel punto, cominciò a correre velocemente verso l’interno della foresta, solo allora, fu visto da Emily.
    -Gillian! Torna indietro!- Urlò la giovane ragazzina, scattando in piedi, senza perderlo di vista.
    Il ragazzo fece finta di non averla sentita, ma gli altri la ascoltarono e si girarono in quella direzione per capire cosa stesse succedendo.
    Terry osservò prima sua figlia, per poi voltare immediatamente lo sguardo verso la foresta, notando una figura svanire tra le ombre degli alberi, capendo che il giovane stava commettendo una pazzia. Con un ordine secco e preciso, mandò alcuni uomini alle sue tracce, con il compito di trovarlo e garantire che tornasse vivo, se non volevano subire l’ira del capitano. Un gruppo di uomini dunque, brandì le armi e partì alla ricerca del giovane sconsiderato, che agile e veloce, si era già infiltrato nel fitto della vegetazione, scomparendo agli occhi dei mortali compagni di viaggio.
    Gillian non disponeva di uno di quei computer portatili, di conseguenza stava correndo alla cieca, privo di una fonte d’orientamento. Il suo unico pensiero fu di correre, fin quando non avrebbe raggiunto per pura casualità una bestia del posto, sperando che fosse tra gli obiettivi della missione. All’improvviso, le sue orecchie colsero un suono sospetto tra le sferzate dell’aria dovuta alla corsa, e il ragazzo sussultò, fermandosi di colpo, impugnando stretto la spada e osservando tutt’attorno. Solo fitta vegetazione, che favoriva qualsiasi tipo di nemico in agguato, soprattutto le bestie che popolavano quell’ambiente, e giocavano dunque in casa.
    Un innaturale silenzio scese in quella zona di foresta che apparve immobile agli occhi scattanti di Gillian, che non riusciva a capire cosa ci fosse lì vicino, perché era sicuro che qualcosa c’era. Indietreggiò cauto, impugnando la spada con ambo le mani davanti a sé, pronto a difendersi da un attacco frontale, fin quando la sua schiena non si scontrò contro qualcosa, laddove doveva esservi un sentiero completamente sgombro. Sentì chiaramente il rumore di uno sbuffo e lo percepì passargli tra i capelli, agitandoli, mentre colpiva duramente il suo olfatto con un disgustoso odore di marcio e decomposizione. Ebbe solamente il tempo di voltarsi rapidamente e indietreggiare di due passi, per ammirare la bestia in cui si era imbattuto, molto probabilmente una di quelle che stavano cercando. Simile a un drago, alto poco meno di tre metri, dalla pelle coriacea di color verde intenso, dotato di una lunga coda, due possenti zampe posteriori e un paio anteriore decisamente minute, testa allungata, molto curva sul naso, con una bocca capace di aprirsi a dismisura, contenente una fila di denti conici affilati e taglienti, e sicuramente più pericolosi della spada corta che il ragazzo teneva in mano.
    L’animale ruggì prima di tentare un morso, mentre Gillian indietreggiava ancora, ponendo d’innanzi a sé l’arma per difendersi. Il giovane, però, perse l’equilibrio a causa delle foglie che facevano da pavimento alla foresta e inciampò su una delle numerose radici presenti, lasciando che la lama venisse spezzata dalla massiccia dentatura nemica, come se fosse stato un innocuo bastone.
    Gillian continuò a farsi indietro strisciando sul terreno, ma alla bestia sarebbe bastata una semplice falcata per raggiungerlo e divorarlo, ma qualcosa parve fermarlo prima che ci riuscisse. Si poté udire uno strano suono, fulmineo e appena percettibile, simile a un fischio, che fece cambiare istantaneamente l’espressione della bestia, anche i suoi vividi occhi gialli mutarono e l’iride nera, normalmente sottile, come quella dei serpenti, si allargò a dismisura. Dopodiché l’animale cadde con un sonoro tonfo, accasciandosi su se stesso come se fosse imploso. Osservando meglio la carcassa, Gillian capì che qualcuno aveva reciso con un taglio netto l’intero fianco sinistro del suo corpo, ma guardandosi in giro non vide nessuno.
    Il ragazzo si calmò, prese dei profondi respiri per poi alzarsi e spolverarsi i pantaloni. A cogliere la sua attenzione, il delicato stridio metallico di una spada che veniva riposta all’interno del suo fodero, che proveniva da dietro di lui. Voltandosi, vide un uomo dal fisico slanciato e parecchio alto, dalla carnagione pallida e lunghi capelli castani lisci. Lo sconosciuto indossava un lunghissimo cappotto bruno, delimitato sui bordi da eleganti risvolti, dei pantaloni larghi e degli stivali comuni. Osservò il ragazzo con i suoi occhi innaturali: verde smeraldo, con un bordo ben visibile nero e l’iride leggermente ovale in orizzontale.
    In seguito, probabilmente a causa di uno shock, Gillian si sentì mancare e cadde nuovamente a terra, privo di sensi. L’ultimo ricordo vivo nella sua mente, era il Draghim che crollava violentemente al suolo, e un uomo misterioso, apparso dal nulla, che gli aveva salvato la vita.
    Quando riaprì gli occhi, sentì un delicato tepore che lo avvolgeva dalla testa ai piedi, era forse stato tutto un sogno? Si alzò a sedere e, osservando l’ambiente che lo circondava, capì di non trovarsi sulla nave e nemmeno nel bel mezzo della foresta in cui credeva di essere, bensì all’interno di una lugubre grotta. A illuminare e riscaldare l’ambiente c’era un piccolo focolare scoppiettante, mentre una leggera coperta di lana bruna copriva il corpo fragile del giovane.
    Dell’eroe che l’aveva tratto in salvo non c’era traccia, e nel cercarlo colse altri dettagli del luogo in cui era stato portato mentre era incosciente: la grotta era completamente spoglia, se non per un piccolo tronco d’albero utilizzato come sedia.
    Il suo esame fu interrotto dal rumore di alcuni passi in direzione dell’entrata, e volgendo lo sguardo verso la fonte, rivide quella figura così favolosa e imponente, che ai suoi occhi parve come una sorta di dio. In mano teneva una larga e spessa foglia, che faceva da piatto a molti frutti di vario genere, alcuni dalla forma completamente sconosciuta al ragazzo che li vedeva per la prima volta. Il piatto gli fu messo accanto e, preso da una fame che non si era accorto di avere fino a quel momento, afferrò il contenuto, mangiando molto velocemente e abbuffandosi.
    L’uomo non parve turbato, anzi appariva privo di un’espressione particolare, quasi apatico. Si sedette tranquillo sul suo tronco, osservando con occhi inespressivi il giovane che divorava quelle pietanze così di fretta, come se non mangiasse da giorni. Gillian notò di esser guardato, quindi si fermò e si asciugò il viso dai succhi della frutta, grattandosi il capo timido e imbarazzato, come se tentasse di dire qualcosa.
    -Grazie… per avermi salvato prima.- Disse infine il giovane con una certa titubanza.
    -Dovere.- Replicò secco l’individuo.
    Quella voce profonda e grave, fu capace di urtare il giovane nel profondo dell’animo. Per un attimo, si sentì perfettamente protetto da qualsiasi male con quell’uomo accanto, come tra le braccia della propria madre defunta. Era una sensazione piacevole, che non provava ormai da molti anni, e gli piacque ritrovarla, seppur con un individuo alquanto bizzarro. Se ne stava lì immobile, a fissare il danzare del piccolo falò con sguardo vuoto, come perso nei meandri di un intricato labirinto di ricordi privo d’uscita.
    -Qual è il tuo nome?- Domandò il ragazzo curioso.
    -…un tempo venivo chiamato Donnovan… - Rispose l’uomo.
    Prima di replicare, seguirono lunghi attimi di silenzio, mentre il solito sguardo serio e inespressivo parve assumere una tonalità lievemente diversa. Distolse lo sguardo dal fuoco, come se il ricordo del proprio nome fosse qualcosa di triste e doloroso, e le sopracciglia si attenuarono in modo quasi impercettibile. Anche il tono della voce era diverso: manteneva la fermezza e la cadenza grave, ma in modo più leggero, lasciando trasparire una traccia di emozione, che sembrava quasi impossibile da trovare in quell’uomo tanto inespressivo. Tuttavia, furono sufficienti pochi secondi e riprese subito la sua serietà apatica, osservando il ragazzo che sorrideva lieto nel sapere il nome del suo salvatore, e ammirandolo per la forza che aveva dimostrato.
    Notò che alla cintura teneva una lunga katana, un’arma di notevole bellezza e pregio. Incredibilmente lunga, aveva il fodero di legno smaltato di nero, con decorazioni dipinte con un verde intenso e il puntale argentato. L’impugnatura aveva il pomolo d’argento, così come anche la guardia dalla forma rettangolare, mentre l’impugnatura era composta di strisce di tessuto nero, che al di sotto, lasciava vedere gli stessi motivi del fodero. Per possedere quell’arma e abbattere con un solo fulmineo e impercettibile colpo quel Draghim, doveva essere certamente un guerriero formidabile.
    Gillian era un ragazzino facilmente suggestionabile, difatti, anche se non conosceva quell’uomo, provava per lui qualcosa di immenso, desiderando di potergli stare accanto e imparare da lui l’arte del combattimento.
    -Dove hai imparato a combattere così bene? Come mai ti trovi su questo pianeta? Raccontami un po’ di te.- Chiese il ragazzo, sparando una domanda dietro l’altra.
    -Vuoi davvero sentire la mia storia?- Replicò Donnovan, guardandolo senza mutare espressione.
    -Sì.- Rispose secco.



    Capitolo Nono – Il Guardiano senza nulla da proteggere

    “Nel vasto universo, ogni pianeta ha la distinta capacità di proteggersi da solo, creando dalle risorse naturali, dei guardiani, con questo compito specifico. Questi esseri, nati come veri e propri guerrieri, vengono chiamati “inesistenti”, per il semplice fatto che per molti sono considerati leggende, ma anche per il fatto che nessuno li vede, oppure sa riconoscerli quando li incontra. Assumono l’aspetto di una delle tante razze umanoidi che popolano o frequentano il pianeta, per unirsi a loro senza problemi, imparando così usi e costumi, ma soprattutto a vivere. Prettamente apatici, questi individui si uniscono alla società senza destare sospetto, imparando dalle persone i vari sentimenti ed emozioni. La loro priorità però, rimane l’apprendimento dell’arte del combattimento, per cui sono predisposti alla nascita e si presentano come guerrieri di eccezionale abilità.
    Sul pianeta Creyos, la vita era fiorente e tranquilla, essendo situata in una galassia poco frequentata dai transiti navali. Pochi erano gli arrivi di stranieri, e gli abitanti non erano intenzionati a spostarsi dal loro mondo, considerato un paradiso terrestre. Il pianeta era molto vasto, con zone prevalentemente verdeggianti e piane, con qualche luogo forestale e numerosi corsi d’acqua. Niente deserti, nessuna montagna o collina, un luogo pacifico e semplice, vivo anche a livello botanico, su cui crescevano varietà di piante uniche nel loro genere.
    Dal fresco manto smeraldino, lentamente emerse una figura umanoide, come un cadavere che risorgeva dalla sua tomba per tornare a respirare l’aria del mondo dei vivi. Capelli come l’umida terra fertile, e gli occhi come i freschi stiletti d’erba, dal volto inespressivo, che si guardava intorno perso e confuso, ignaro del luogo in cui si trovava. Poco distante vi era un villaggio, molto piccolo e con poche costruzioni, fatte interamente di legno e paglia, un posto umile dove poter vivere, ma perfetto nella sua semplicità. La creatura appena nata, già in forma adulta, s’incamminò barcollando verso quel piccolo paese, pronto a incominciare a vivere e seguire i suoi doveri. Giunto nei pressi delle abitazioni, due uomini e una donna notarono la figura in avvicinamento. Credendo che fosse in difficoltà e avesse problemi, accorsero subito in suo soccorso, lo afferrarono da sotto le ascelle per aiutarlo a camminare e con una delle loro giacche coprirono il suo scolpito corpo nudo dalla pelle rosea priva d’imperfezioni.
    Fu trasportato in una delle tante case, il cui interno era riscaldato da un vivace camino acceso. Fu fatto sedere su una sedia e fu avvolto in un telo di pellame bruno scuro, nel frattempo, la donna s’apprestò a preparare del tè per il nuovo giunto. Gli uomini chiesero varie cose, quali il suo nome, la sua età, cosa gli fosse accaduto, ma nulla, lo sconosciuto non professava alcuna parola. Supposero che poteva essere stato derubato da qualche gruppo di malviventi, e che al momento fosse ancora traumatizzato dall’evento per ricordarsi qualcosa e parlarne. Attratte dai rumori e dalle voci concitate degli adulti, due bambine entrarono nella stanza, domandandosi cos’era accaduto, quando scorsero il nuovo arrivato. L’uomo misterioso si trovava ora nella casa di un piccolo nucleo familiare, formato da una coppia sposata, il fratello della donna, e due bambine di dieci e sette anni.
    Gli fu servito del buon tè bollente, ma non lo afferrò per i primi attimi. Solo quando vide che la donna afferrava la propria tazza con le mani, portandola alla bocca e cominciava a berne il contenuto, come un mimo, fece lo stesso. Allungò lentamente le mani, sentendo per la prima volta il calore intenso, soffermandosi su quella percezione, scoprendo quanto fosse piacevole, poi, portò la tazza alle sue flebili labbra, prendendo solo un sorso come assaggio. Misurò il sapore sulla lingua e notò che la bevanda gli piaceva, quindi prese a sorseggiarla normalmente.
    La figlia maggiore portò dei cambi d’abito, appartenenti al padre, mentre quest’ultimo accompagnava il ragazzo a farsi una doccia. Era completamente ricoperto da piccoli granelli di terra, essendo emerso da essa, ma gli uomini non potevano saperlo e continuavano a chiedersi cosa gli fosse accaduto per ridurlo al mutismo e all’apatia. Come un bambino, lo sconosciuto non comprendeva l’atto di lavarsi, e senza provare alcuna vergogna, fu aiutato dai due uomini, che lo cosparsero di bagnoschiuma e lo strofinarono con la spugna per ripulirlo dalla polvere e la terra. Successivamente, lo aiutarono anche a indossare gli abiti, in modo che potesse essere presentabile e che stesse comodo. Ancora non riusciva a parlare, ma quella famiglia lo considerava già parte integrante della loro unità, tanto che mentre gli uomini di casa lo ripulivano, la donna aiutata dalle bambine, preparò una stanza solo per lui. Avevano deciso di tenerlo con loro fin quando non avrebbe recuperato la voce e la memoria che secondo loro era scomparsa e forse non sarebbe mai tornata, inoltre non costava nulla tenerlo.
    Passarono così alcuni giorni dal suo ritrovamento, e dall’integrazione nella civiltà umana, lo sconosciuto iniziò ad apprendere memonicamente ogni singolo gesto: gli bastava osservare un’azione per comprenderne le funzionalità e come eseguirla, un livello di apprendimento alquanto superiore rispetto al normale. Solamente al quarto giorno cominciò a parlare, stupendo chi gli stava intorno con la sua voce profonda e intensa e piacevole da ascoltare, finalmente lieti di poter discutere con lui. Quando però gli chiesero il nome o il suo passato, non ebbero alcuna risposta, e non perché non ricordava.
    Sedeva sul portico di quella piccola casupola, quando fu affiancato dalla bambina più piccola della famiglia, che gli sorrideva allegra, mostrando due denti mancanti.
    -Non ti ricordi come ti chiami?- Domandò lei insistente.
    -Non ho un nome.- Rispose lui, schietto e sincero.
    -Mmmmm… che ne dici se ti chiamo Donnovan?- Chiese lei allegra e sorridente, come se fosse la cosa più naturale e ovvia del mondo.
    Il ragazzo la guardò basito per un momento, per poi accettare con un semplicissimo cenno del capo. La giovane ne fu lieta, e così lo abbracciò senza pensarci, mettendo a disagio Donnovan perché non ancora abituato a quell’usanza. Sentiva solamente una bella sensazione, un calore affettuoso mentre ricambiava la stretta della bimba, non solo perché si sentiva amato, ma anche perché desiderava involontariamente di proteggerla. La scostò da sé, vedendola sorridere spensierata, e ciò gli fece scappare un accenno di gioia su quelle sue sottili labbra rosate. La sua identità iniziava a formarsi, e lentamente imparava a essere un umano perfetto, gli mancava solamente una cosa da fare.
    Domandò agli uomini di casa dove potesse trovare un equipaggiamento adeguato e un luogo ove allenarsi, magari con un maestro d’armi di innata bravura. Lo accompagnarono ben volentieri da un fabbro nel villaggio, lasciandogli scegliere tra un vasto assortimento, da cui prese una spada semplice, dalla lama piatta bipenne, di stile medioevale. Per l’allenamento, invece, fu portato non molto più lontano, ove abitava un vecchio soldato della federazione universale ritiratosi dal servizio per una ferita, e ritrovatosi su quel pacifico pianeta da cui non se n’era più andato. Appena gli chiesero delle sessioni d’allenamento, l’uomo accettò volentieri, era molto gentile e apprensivo, inoltre non aveva nulla da fare nelle sue giornate monotone.
    Il giovane Donnovan diede così inizio al suo addestramento, ogni giorno si alzava la mattina presto e si dirigeva verso una piccola radura dietro la capanna del fabbro, ove lo attendeva già pronto il soldato. L’uomo attendeva vigile, in posizione eretta, utilizzando la spada conficcata nel suolo come appoggio. Eseguivano allenamenti intensi e lunghi, senza provare con manichini a spiegare le tecniche, ma incominciando subito con il difficile e la vera pratica. Jeremy, il soldato pensionato, eseguiva le sue mosse fendendo il vento, mostrando di avere una certa abilità, seppur non raffinata a causa della ferita che ancora gli bruciava sotto l’ascella destra. Donnovan osservava come un allievo attento, e assimilava così le movenze, e già dopo quattro giorni, poté cominciare a fare duelli di esercitazione.
    Oltre a progredire nell’uso della spada, aveva migliorato i suoi rapporti con la famiglia che lo aveva accolto senza pensarci due volte. Veniva chiamato fratellone dalle due figlie, e i genitori erano lieti di avere una figura maschile giovane tra di loro, trattandolo come un figlio mancato. Infatti, Donnovan, era il nome del loro unico figlio maschio, deceduto qualche anno prima, a causa di una grave malattia, la cui cura non era nota nelle loro zone dell’universo. Nel sapere questa verità, fu più onorato di possedere quel nome, sapeva di potersi sentire uno della famiglia, e il suo viso privo di espressioni si colorava di felicità e gioia. L’intera città imparò a conoscerlo, e si rivelò un uomo buono e gentile con tutti, che aiutava chiunque nel caso ci fosse bisogno di due braccia possenti.
    Andava tutto per il verso gusto, e sembrava che nulla potesse interrompere la delicata quiete che albergava su Creyos. Un giorno, però, nel cielo apparve dal nulla una sfera gigantesca, un secondo sole, circondato da fiamme vive che ogni giorno diveniva sempre più grande alla vista degli abitanti di Creyos. Era una meteora le cui dimensioni erano poco meno della metà del pianeta, ed era in rotta di collisione, impossibile fermarla o farle cambiare rotta. Furono inviati messaggi di aiuto alla federazione universale, ma nessuno rispose alle loro suppliche, sembrava che la perdita di un mondo tanto piccolo e privo di risorse preziose non fosse importante per le persone che dovevano vigilare sulla pace dell’universo. Non disponevano di missili, e nemmeno di molte navi con cui fuggire, e solamente chi possedeva un mezzo spaziale ebbe salva la vita.
    La meteora ormai era vicina e nulla si poteva fare. Le persone rimaste nel villaggio, e in tutto il resto del globo, attendevano la loro fine con occhi colmi di lacrime amare, rassegnati al loro destino crudele. Donnovan però, era l’unico di tutta quella folla che sembrò non accettare quella spietata realtà, voleva ribellarsi, cambiare le sorti del mondo. Corse come un folle verso una radura pianeggiante completamente vuota, cercando inutilmente di avvicinarsi a quella meteora. Non voleva morire, non voleva perdere la sua famiglia, aveva imparato cos’era amare e ora doveva rinunciare a tutto? Si soffermò a fissare quella meteora, che ormai si poteva quasi toccare con mano, mentre le fiamme aumentavano e diventavano sempre più grandi a causa del superamento dell’atmosfera.
    Impugnando la propria spada con tutte le forze in corpo, lo spadaccino scagliò un potente fendente verso il cielo, emettendo un urlo pazzesco. Creò così una lama eterea, un attacco spirituale d’elevata potenza, che pochi guerrieri erano in grado di apprendere, o perlomeno, non in così poco tempo. La lama colpì la sfera di roccia fiammeggiante, che si graffiò appena. Quell’attacco incredibilmente potente non era bastato a fermarlo. In preda alla follia, Donnovan cominciò a lanciare una lunghissima serie di fendenti, senza smettere, emettendo ogni volta un urlo poderoso che accompagnava una lama eterea. Una piccola porzione della meteora finalmente si staccò, ma era minuscola rispetto alla mole del corpo originale, che restava quindi enorme e inattaccabile. Pochi attimi, e l’orizzonte si tinse di rosso, mentre un gigantesco boato echeggiava per la galassia, cancellando dalla faccia dell’universo quel piccolo e pacifico pianeta, che un tempo si chiamava Creyos.”


    Edited by Liberty89 - 16/6/2012, 09:07
  11. .
    Capitolo Settimo – Il primo assalto

    Il viaggio procedeva placidamente e senza problemi di sorta, e la ciurma era piuttosto rilassata: si godeva la fresca temperatura esterna dello spazio, mitigata dal campo di contenimento, con qualche buon bicchiere di rum e piacevoli chiacchiere che vertevano sugli argomenti più disparati. In mezzo a quella leggera quiete, Gillian continuava a passare il suo spazzolone intriso d’acqua strofinando il ponte con forza, cercando di pulire completamente lo sporco che lo incrostava. La giovane principessa al contrario, stava comodamente seduta sul corrimano, dondolando le gambe e sporgendosi, lasciando che l’aria di spostamento della nave scuotesse la sua bionda chioma.
    -Capitano, nemico a ore otto!- Urlò la voce della vedetta, indicando col braccio la direzione, interrompendo così quell’inconsueta aria da crociera.
    -Preparatevi a un assalto.- Sentenziò calmo e tranquillo il Capitano d’Acciaio.
    Gli uomini si mossero immediatamente, dimostrando un controllato entusiasmo, che quindi non interferiva con gli ordini del capitano, e iniziarono a scendere nella stiva a raccogliere l’artiglieria pesante, mentre i soldati di prima linea preparavano l’equipaggiamento necessario per un assalto diretto. L’albero maestro, grazie ad un ingegnoso meccanismo, si ritirò all’interno del ponte lasciando scendere il pirata di vedetta, pronto a unirsi all’azione insieme ai suoi compagni. Gillian si fece prendere leggermente del panico, guardandosi attorno senza sapere cosa fare in quella situazione, paralizzato con la scopa ancora stretta tra le mani e le gambe leggermente tremanti, mentre Emily parve sorridere divertita.
    -Voi due andate di sotto fino a nuovo ordine.- Disse Terry, che raggiunse la figlia per proteggerla da un eventuale attacco improvviso.
    I due ragazzi dunque, ascoltarono l’ordine del capitano e andarono sotto coperta, ma tennero la porta aperta per poter scorgere lo scontro che sarebbe iniziato di lì a poco. Gil era emozionato, ma mostrava anche un po’ di timore, poiché non si può mai sapere l’esito di una battaglia, inoltre quello era il primo assalto a cui assisteva e fino ad allora non aveva sentito altro che leggende e racconti così incredibili da giudicarsi inverosimili. Deglutì e sbirciò Emily, che stava al suo fianco, e si sorprese di trovarla eccitata che incitava il padre, urlandogli parole d’incoraggiamento, mentre l’uomo la guardava e sorrideva, sì perché sapeva sorridere anche lui delle volte. Tra gli uomini pronti in prima linea c’era anche Kurt, che impugnava un grosso martello da guerra, che lo faceva sembrare molto più potente e massiccio di quanto non fosse già.
    L’attenzione di ogni pirata era rivolta alla nave nemica che si apprestò ad avvicinarsi. Anch’essa interamente fatta di metallo, dalle forme cubiche e spigolose, però tinta di verde scuro, con qualche motivo giallo a raffigurare brillanti saette, e la scritta “Thunderbird” sul fianco a presentarla con il dovuto rispetto. Gillian notò che tutti erano perfettamente pronti per l’attacco e si erano preparati a una sorprendente velocità e con una scioccante naturalezza, e il giovane dedusse che era una procedura solita tra i pirati, quella di attaccarsi tra loro, magari per prendere bottini e togliere di mezzo la concorrenza. Le due navi si affiancarono, permettendo agli uomini di saltare sul ponte nemico, e con il primo urlo di guerra cacciato con un salto poderoso, scoppiò il caos più totale, in cui era impossibile capire chi appartenesse a quale ciurma.
    Terry se ne stava immobile in mezzo al ponte della propria nave, silenzioso centro di quell’incredibile parapiglia, come l’occhio di un violento ciclone, attendendo che fosse il nemico a raggiungerlo per lanciargli la sua sfida, lui non era tipo da gettarsi così impetuosamente. Non mancarono, infatti, gli uomini che si fiondarono sul capitano, credendo di aver vita facile data la sua immobilità, perché la sua sconfitta avrebbe decretato la vittoria immediata della ciurma avversaria, come negli scacchi. Ben tre pirati caricarono il Capitano d’Acciaio, che come quando fu attaccato da Gillian, rimase fermo a godersi l’attimo di smarrimento di quei temerari. Essi colpirono con le loro spade, mettendoci tutta la forza che possedevano, tuttavia le lame cozzarono contro il suo corpo, lacerando sì il vestito ma senza provocare alcuna ferita o graffio alla pelle sottostante. A quel punto Terry reagì, sferrando un pugno con il dorso della mano ai tre pirati, e il suono di ogni colpo sembrò quello di una pesante padella.
    In lontananza, un pirata mirava a Terry, tenendo sulla spalla un cannone. Gillian si spaventò, per un momento vide che il suo nuovo capitano sarebbe stato sconfitto, morto in così poco tempo. Il volto di Emily però, mostrava tutto il contrario, i suoi occhi brillavano ancora nel vedere il suo genitore tanto potente, fiduciosa che potesse sopravvivere anche a quell’attacco. Il cannone sparò, prendendo in pieno l’uomo, che anche in quest’occasione rimase immobile, svanendo nel grigio della nube di polvere provocata dall’esplosione. Quando il fumo si dissipò, Terry era ancora in piedi e mostrò finalmente il suo segreto: tutta la parte superiore della tuta era stata disintegrata dal colpo ricevuto, lasciando scoperto il fisico marmoreo del suo proprietario e una pelle completamente argentata.
    Gillian poté capire il motivo per cui si chiamava il Capitano d’Acciaio, perché poteva rendere il suo corpo di metallo con il solo pensiero. Il ragazzino rimase incredulo d’innanzi alla scoperta, che diavoleria era mai questa? C’era una tecnologia che permetteva di avere una difesa così potente, mutando il proprio corpo in metallo? Gil era molto confuso, ma iniziò a mostrare meno preoccupazione nel vedere il suo capitano tanto forte e vittorioso.
    I tessuti della tuta iniziarono a ricrearsi rapidamente, mentre Terry si lanciava contro il pirata con il cannone, sferrando un gancio possente, tale da far ben udire il suono di ossa rotte. Terminato quel breve conflitto, il Capitano d’Acciaio si rimise in posizione eretta e fissò lo sguardo del suo unico occhio su un punto preciso del ponte, poiché era arrivato il turno del combattimento più importante di tutti.
    Superando senza problemi la prima linea e stendendo tutti gli avversari, come un vento impetuoso che travolge le deboli foglie di un albero, si avvicinò un uomo che brandiva una mazza, che ogni tanto sprizzava scintille come un cavo scoperto. Questi era vestito con anfibi, pantaloni da militare, canottiera nera, targhette metalliche appese al collo e due fulmini tatuati sulla guancia. Aveva una lunga capigliatura bionda, che fluiva verso l’alto dietro la nuca, come se fossero perennemente spinti dal vento. Osservò Terry con i suoi occhi simili a due stiletti di ghiaccio, puntandogli contro la mazza, che improvvisamente andò a ricoprirsi totalmente di saette e scariche elettriche.
    -Sei mio, Capitano d’Acciaio.- Sentenziò, minacciandolo con tono sadico e sicuro.
    -Fatti sotto, Fulmine Stellare.- Replicò Terry con la sua solita e incrollabile calma.
    Il Fulmine si lanciò spedito contro il suo nemico, colpendolo con forza usando la mazza e prendendolo al collo. Terry non si mosse, rimase immobile, e si poté udire solamente un tintinnio metallico, dovuto alla collisione di due materiali simili. L’avversario, però, non si scoraggiò e sorrise malevolo prima di colpire ancora, questa volta facendo scorrere la corrente nella propria arma. L’uomo d’acciaio allungò una mano bloccò la mazza in una morsa stretta, lasciando che l’energia elettrica scorresse su tutto il suo corpo, ora conduttore, per poi allungare il braccio libero e stringere il collo del nemico. Le scariche furono trasmesse al mittente, che fu semplicemente stordito e lasciò cadere le braccia inermi lungo i fianchi, mentre il corpo fumava lievemente a causa della scossa ricevuta.
    -Kurt…- Disse il capitano, chiamando il suo uomo migliore.
    Senza preoccuparsene, tornò normale e lanciò il corpo del nemico verso l’energumeno, che lo attendeva come un battitore di baseball, e appena gli fu abbastanza vicino, fece ondeggiare il suo possente martello. Lo colpì in pieno con precisione, scaraventandolo nel posto da cui era venuto con tanta spavalderia, mentre i colpi dei cannoni usciti dai fianchi della nave concludevano il lavoro, facendo “affondare” quella nave, che prese a vagare nello spazio vuoto, come un corpo alla deriva. Il sistema di contenimento fortunatamente non si guastò, dunque chiunque fosse sulla nave, era ancora vivo, dovevano solo attendere che qualcuno li recuperasse, sperando non fosse il governo universale oppure qualcuno senza cuore.
    La battaglia era finita e c’era solamente un gruppo di feriti, nessun moribondo o defunto. Gillian fu impressionato dallo scontro, mentre la dolce Emily usciva allo scoperto, correndo contro suo padre a braccia aperte.
    -Sei stato grandioso!- Urlò lei, saltandogli in braccio, mentre lui faceva un giro su se stesso per poi carezzarle il capo, con dolcezza paterna. Anche il ragazzo tornò sul ponte, avvicinandosi a passi veloci ma contenuti a Kurt che posò a terra il martello e si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte, ma che gli sorrise appena fu entrato nel suo campo visivo, pronto a una nuova domanda del suo giovane compagno.
    -Come ha fatto a diventare di metallo?!- Domandò sbalordito e incredulo Gillian a colui che oramai, era divenuto il suo mentore su quanto riguardava quello strano mondo.
    -Tra le varie bestie che andiamo a cacciare, ci sono alcune più evolute di altre, che sanno parlare e pensare con tanta astuzia. Questi mostri sviluppati, che noi chiamiamo semplicemente demoni, spesso per non farsi uccidere o per sfizio, propongono ai pirati di fare un patto con loro. Il demone diventa quindi parte integrante del corpo del pirata, e quest’ultimo acquisisce poteri e capacità sorprendenti, che possono essere donate ai propri figli.- Spiegò l’energumeno, dando una pacca al giovane curioso.
    Gillian osservò il capitano e sua figlia, capendo meglio come poteva fare quello che faceva. In passato doveva aver fatto anch’egli un patto con un demone, una particolare bestia che sapeva mutare il proprio corpo in metallo, e si chiese quanto doveva essere stato difficile battere una simile creatura, ma soprattutto quanto potesse essere forte il Capitano d’Acciaio prima di ottenere quel potere. Ripensando a ciò che gli aveva detto Kurt, Gillian dedusse che anche Emily poteva disporre di quel potere per fattore genetico, il che lasciava spazio a molti dubbi e perplessità.
    Ormai il pericolo era passato e non c’erano più rischi, quindi sospirò e con un’alzata di spalle riacciuffò la propria scopa e riprese tranquillamente a spazzare il ponte della nave, in attesa di giungere a destinazione e di cominciare la prima missione da pirata cacciatore.


    Edited by Liberty89 - 23/4/2012, 22:14
  12. .
    Capitolo Sesto – Lady Steel

    Un nuovo giorno si era affacciato all’orizzonte, illuminando ogni nave del porto, facendole brillare come piccole stelle, e finalmente per la ciurma del Capitano d’Acciaio, era giunto il momento di partire alla volta di un lungo viaggio per poter intraprendere la missione che avevano ricevuto il giorno prima tramite la bacheca dei pirati cacciatori. Gillian si stava ricredendo su quella ciurma, che inizialmente aveva giudicato violenta e piena di personaggi dalla dubbia fedina penale, l’energumeno si stava dimostrando un valido compagno su cui poter fare affidamento su qualsiasi cosa, e Terry nascondeva, con grande abilità, il suo lato umano dietro un velo oscuro. Il giovane salì sul ponte, respirando a pieni polmoni l’aria frizzante del mattino, esaltato e impaziente di intraprendere il suo primo vero viaggio, la sua prima missione come membro di una ciurma di pirati. A salutarlo, riportandolo per un momento con i piedi per terra, fu appunto Kurt e uno dei ragazzi presenti al pub, che gli chiesero semplicemente come procedevano le cose.
    -Kurt, non fraternizzare troppo con il mozzo. Ragazzino, vai a pulire.-
    Disse il capitano, che stava passando proprio vicino a loro, con un passo frettoloso e non si concesse nemmeno il tempo di fermarsi, per dirigersi ad accogliere due persone che attendevano sul corridoio d’attracco. Una splendida donna trentenne, dai chiari capelli castani raccolti, pelle nivea, lineamenti sottili e un vestito molto umile, composto da una gonna larga e una maglietta. Accanto a sé, una ragazzina probabilmente dell’età di Gillian, vestita con una maglietta arancione dalle maniche lunghe e colletto alto aperto, accompagnato da scarpe da ginnastica e pantaloni aderenti. Lunghi capelli di un castano chiarissimo, in pratica biondo, che cadevano lisci fino a metà schiena, tenuti ordinati con un cerchietto rosso. Occhi neri come la notte e molto grandi, se non fosse stato per l’abbigliamento, poteva tranquillamente passare per una bambola di preziosa porcellana.
    -Papà! Che bello rivederti!- Urlò la ragazza, aprendo le braccia in direzione di Terry.
    -Ciao principessa! Buongiorno anche a te tesoro.- Rispose il capitano.
    Prese in braccio la figlia, seppur fosse un po’ cresciuta, riuscendo però a reggerla con solo un braccio. Con la mano libera cinse la donna al fianco, dandole un bacio a stampo molto amorevole, facendo benissimo capire che si trattava della sua famiglia. Terry infatti, era nato e cresciuto a Lunaria, il che era anche conveniente per un pirata cacciatore, perché in tal modo poteva rivedere la famiglia tra un lavoro e un’avventura. Le donne non sembravano tristi o turbate, pur consce che l’uomo sarebbe ripartito a breve e che aveva giusto il tempo di quel fugace saluto.
    Salutavano il loro amato con il sorriso sulle labbra e al posto di convincerlo a rimanere a badare alla famiglia lo stavano incoraggiando a dare il meglio per portare a termine il nuovo incarico. Non mancarono le raccomandazioni della moglie, che gli ripeteva di fare attenzione e di badare a se stesso, mentre la bambina, particolarmente vivace e allegra, fissava il genitore con uno sguardo adorante e ammirato. Era però giunto il tempo di spiegare le vele, e la famiglia salutò definitivamente l’uomo, che raggiunse il suo solito posto in cima al ponte, affiancando il timone.
    -Accendete i motori, attivate il campo di mantenimento. Si parte per Omea!-
    Ordinò il capitano, ricevendo l’immediato assenso all’unisono dei suoi uomini, come dei prodi militari, che subito accorsero alle loro mansioni, muovendosi con esperienza e velocità.
    Il motore cominciò a fare rumore, la nave prese a tremare, mentre un bagliore faceva capire che il campo di contenimento per la pressione e l’ossigeno era stato attivato. Gillian non sapeva cosa fare, ma quando poco dopo incrociò lo sguardo con il capitano, si sentì fulminato, e si ricordò improvvisamente di essere un semplice mozzo. Confuso e goffo, sembrava non ricordarsi dove doveva andare, ma poi si diresse con sicurezza verso lo sgabuzzino, per recuperare una scopa e un secchio. Quando però aprì lo scomparto destinato agli attrezzi per la pulizia, trovò qualcosa che non doveva esserci e rimase paralizzato, incapace di decidere il da farsi. Dietro quella porta, oltre agli spazzoloni e i tessuti utilizzati per lavare, c’era anche la figlia del capitano, seduta e sorridente. Quando fu scoperta, con noncuranza e tranquillità si alzò in piedi, mostrando un sorriso splendente al giovane e salutandolo con tanto di mano. Il ragazzo ripresa coscienza di sé, fece un respiro profondo e con il suo arsenale tornò sul ponte con un nuovo e lungo sospiro. Alzò lo sguardo verso l’alto per puntarlo sulla fiera figura del capitano Steel.
    -Mi scusi signore… ecco… c’è un problema…- Disse timido e intimorito al contempo Gillian, deglutendo a vuoto.
    -Ciao papà! Spero non ti dispiaccia se mi unisco a te per questo viaggio!- Esclamò la ragazzina, apparendo nella visuale del padre, contenta e gioiosa mentre sventolava la mano in modo infantile per salutarlo.
    L’uomo spalancò l’unico occhio visibile, incredulo oltre ogni dire, perché di certo non si aspettava una cosa simile dalla figlia, dopodiché liberò un lungo e rassegnato sospiro, poggiandosi al cornicione con una mano, mentre l’altra andava a ricoprire il viso pieno di vergogna.
    -I ragazzi d’oggi… hanno la fissa di salire clandestinamente sulle navi per caso?- Domandò a bassa voce l’uomo, che mantenne la posizione per qualche attimo, prima di invitare la ragazzina accanto a sé, e con uno sguardo puntiglioso intimare silenziosamente al giovane d’incominciare a spazzare, il ponte era sporco a causa di tutti quei viaggi interstellari e andava pulito.
    Il giovane passava la scopa sulla superficie metallica completamente incrostata, trovandola in alcuni punti, persino arrugginita e rovinata, dandogli una minima idea di ciò che aveva dovuto sopportare in tanti anni di servizio. Gil sospirò, pensando che fare il mozzo gli ricordava vagamente il lavoro in miniera: nulla di piacevole, molto stancante e alquanto monotono, però era pur sempre meglio spazzare un ponte che spaccare la pietra. Intanto, sulla cima ponte il capitano e la figlia stavano intraprendendo una discussione molto accesa: l’uomo era evidentemente furioso per l’azione sconsiderata compiuta dalla figlia, in sua difesa, lei affermò di sentirsi pronta per intraprendere i viaggi con il padre, anche solo per stargli accanto e visitare l’universo, poiché non le interessava fare la piratessa, inoltre, aggiunse che a proteggerla c’era il suo adorato padre, quindi non vedeva nulla di cui preoccuparsi. Il Capitano d’Acciaio ovviamente, capì di non avere altra scelta, sospirò nuovamente, passandosi la mano sul volto stanco e confermando che poteva restare, a condizione che non infastidisse la ciurma con la sua presenza.
    Gillian proseguì nel suo lavoro, senza badare al breve diverbio avvenuto tra i consanguinei, quando il rumore di alcuni passi sul metallo attirò la sua attenzione.
    -Sei nuovo vero? Non ti ho mai visto prima.- Costatò la ragazza, osservandolo da capo a piedi per studiarlo.
    -Sì, mi chiamo Gillian, ma puoi chiamarmi Gil. Tu invece?- Replicò a sua volta il giovane.
    -Io sono Emily Steel, la figlia del capitano.- Rispose sorridente e leggiadra la fanciulla.
    Il ragazzo si ritrovò a sorprendersi del fatto che il capitano potesse avere una figlia così solare e vivace, e sicuramente doveva possedere un animo dolce e gentile, probabilmente l’esatto opposto del padre, per quanto aveva potuto vedere fino a quel momento. Gil sorrise, soprattutto quando la giovane costatò che erano gli unici a bordo così giovani, e domandò se poteva fargli compagnia. Gillian si fermò, venendo meno ai suoi doveri, per parlare con la ragazza, che però lo fermò subito con una ripresa.
    -Perché ti sei fermato? Lavora mozzo!- Urlò inizialmente furibonda, per poi ridere dell’espressione basita dell’altro.
    -Ma che brava la mia principessa, già da ordini ai mozzi.- Intervenne il capitano, giunto a vedere cosa stava accadendo.
    Poggiò la mano sul capo della figlia, carezzandola amorevolmente come farebbe un padre fiero del proprio erede. Non c’era alcun dubbio, quei due erano parenti, entrambi si divertivano alle spalle di un povero ragazzo costretto a fare il mozzo, quando desiderava solamente diventare un pirata cacciatore. Con un ulteriore avviso di comportarsi bene, Terry andò a parlare con Kurt a riguardo la missione, lasciando nuovamente soli i due giovani a conoscersi.
    -Sai, sei divertente.- Disse la ragazza.
    -Perché? Cos’ho fatto?- Domandò perplesso Gil.
    -Niente, ti fai comandare facilmente ed io mi diverto a fare la principessa.- Replicò la fanciulla.
    Anche se era crudele tanto quanto il padre, con manie di superiorità regale, Gillian non provava odio o disprezzo per la ragazza. Anzi, ogni qual volta che lei sorrideva felice, lui ricambiava, e senza lamentarsi svolgeva le proprie mansioni come gli era stato ordinato. Si raccontavano battute, si facevano reciprocamente delle domande per conoscersi, insomma, stavano legando ed erano sulla buona strada per diventare ottimi amici. Per lo meno ora, quel primo lungo viaggio per diventare appieno un pirata cacciatore non l’avrebbe affrontato da solo, ora che c’era anche Emily e la sua presenza gli stava dando un motivo in più per proseguire la sua avventura sulla nave del Capitano d'Acciaio.


    Edited by Liberty89 - 9/4/2012, 22:41
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    Capitolo Quarto – L’arrivo a Lunaria

    Oramai il suo destino pareva aver preso un sentiero tutto suo e assolutamente non voluto: si era unito alla ciurma di un capitano che non aveva scelto, e che a primo impatto non gli diceva nulla. Sperava di poter incontrare uno di quegli uomini gentili e avventurosi, che cacciavano bestie nel vasto universo in nome del bene e svolgevano un lavoro per la comunità. Invece, si era ritrovato con un capitano misterioso, dall’aspetto duro e oscuro, maligno e molto severo ad una prima impressione, qualcuno apparentemente privo di un qualsiasi cosa paragonabile a un cuore che contenesse almeno la base di un sentimento.
    Almeno qualcosa di positivo era riuscito a ricavarlo da tutto ciò che gli era accaduto da quando era partito. Ancora a terra su quel freddo ponte metallico, con cui avrebbe passato lunghi ed estenuanti giorni, lo aiutò a far scivolare via il momento di confusione mentale e il suo animo si calmò e rasserenò. Poggiò ambo le mani a terra e inclinò la testa indietro per osservare il cielo trapunto di stelle vicine e lontane, di quel vasto universo che tanto aveva desiderato raggiungere. Finalmente lo vedeva da vicino, una parte di se stesso era ancora incredula di fronte a tanta immensità, ma era nello spazio, e ciò bastava per renderlo felice e stampargli un sorriso che illuminò il suo intero viso, indipendentemente da ciò che era successo di negativo. Riflettendoci sopra, alla fine era riuscito a realizzare parzialmente il suo sogno, faceva parte di una ciurma di pirati cacciatori, ora doveva solo farsi le ossa e dimostrare la sua determinazione.
    Si rialzò, stiracchiandosi per qualche lieve dolore muscolare, avvicinandosi al cornicione della nave. Ammirò con occhi brillanti il fluttuare di quell’imbarcazione nel vuoto, con il motore a propulsione a poppa che ne permetteva il tragitto e il mantenimento della rotta senza andare alla deriva. La tecnologia era qualcosa di affascinante, soprattutto quella della barriera che permetteva di contenere l’ossigeno e mantenere una pressione atmosferica tale da permettere all’equipaggio di muoversi senza rischiare di mettersi a galleggiare e in più, si poteva guardare lo spazio come se non ci fosse nulla a rivestire la nave.
    Osservando tutto ciò che lo circondava, pensò a suo padre che forse, aveva ammirato quelle stesse stelle. Non conosceva il suo volto, ma era certo della sua forza ed era altrettanto sicuro che un giorno sarebbe diventato come lui, anche se non sapeva molto della sua carriera come pirata cacciatore, e chissà se era ancora vivo. Mentre la mente vagava da un pensiero all’altro come un insetto che vola di fiore in fiore, un’altra nave sfrecciò vicina alla loro, attirando immediatamente lo sguardo del giovane che la seguì con gli occhi stupito e sorridente, come se stesse contemplando una fanciulla dalla leggendaria bellezza.
    Risollevando lo sguardo si accorse che vi erano molte altre navi e questo poteva solamente significare una cosa. Guardò a prua, per vedere un pianeta nel suo immenso splendore: la capitale portuale dell’universo, Lunaria. Un astro circolare di colore grigio pallido, da cui vi era un lungo e interminabile scorrere di navi che giungevano e partivano, come uno sciame di api operaie che entra ed esce dall’alveare.
    L’energumeno che stava per gettarlo fuori bordo si avvicinò, e attirò la sua attenzione posandogli una mano sulla spalla, dicendogli di rientrare se non voleva rimanere ustionato nel processo di atterraggio.
    Cozzando con l’atmosfera del pianeta, vi fu un’esplosione di fiamme danzanti e scintille, e dall’oblò il giovane Gil poté vederlo in tutta la sua magnificenza. Il resto della ciurma di pirati era calmo e rilassato, anche loro sorridenti nel godersi tale spettacolo, che a quanto pare non annoiava mai nemmeno dopo tanti anni. Finalmente erano all’interno dell’atmosfera, e si poteva vedere la superficie del pianeta più nel dettaglio: interamente artificiale e opera di mani diverse, sgargiante di mille colori e profumi, quasi interamente occupato da persone, che si muovevano da un posto all’altro, chi di fretta e chi con calma. Appena la nave si fermò, il ragazzino fu preso dal suo gioire fanciullesco e uscì in pochi attimi a prendere una boccata d’aria sul suo primo pianeta che non fosse il suo. Si sporse per quanto gli fu possibile dal bordo della nave per guardare più da vicino quel frenetico mondo dove avveniva di tutto e di più, ma rimase semplicemente stupefatto nel vedere quante navi di diversi tipi erano ormeggiate nel molo e quante persone occupavano ogni via che riuscì a raggiungere con lo sguardo.
    Gli uomini incominciarono a scendere con ordine, parlando tra di loro e decidendo come trascorrere le ore libere che avevano a disposizione. Il ragazzo per un attimo si spense, lasciandosi cadere a terra e poggiando il mento sul corrimano, sbuffando perché non poteva scendere dall’imbarcazione. Non che gli fosse impedito, ma temeva una qualche reazione di certo non positiva, del suo capitano o degli altri membri, che sembravano trattarlo come uno schiavo, lo sguattero che in fondo, era.
    Terry s’avvicinò in silenzio al ragazzo, con passo lento e marcato, facendo echeggiare ogni suo passo sul pavimento metallico con quegli anfibi neri dalla suola spessa. Teneva le mani congiunte dietro la schiena con fare autorevole e serio, fermandosi accanto al mozzo, che si limitò a donargli uno sguardo di fuggita.
    -Questa è la prima volta fuori dal tuo pianeta immagino…- Iniziò, senza guardarlo. -Va pure.- Disse semplicemente l’uomo.
    Gillian lo guardò sorpreso, mentre quest’ultimo guardava l’orizzonte con immensa serietà, come se fosse alla ricerca di un segno particolare. Il ragazzo si alzò all’istante e, preso dalla felicità, lo abbracciò istintivamente, lasciando il capitano interdetto e confuso, che sollevò le braccia e lo squadrò con aria di disgusto. Tuttavia, il giovane non ci badò e dopo quella lieve stretta e un rapido ringraziamento, corse giù dalla nave, gettandosi nella folla. L’uomo rimase bloccato in quella posizione, seguendo con gli occhi il nuovo acquisto della ciurma, e quando questi scomparve, riprese una postura composta e si concesse un sorriso, prima di ritornare sotto coperta per farsi una bella e lunga dormita.
    Era la prima volta per Gillian nella grande città portuale, e come ogni turista privo di una guida o di qualsiasi informazione sul posto in cui si trova, non sapeva dove andare. Si muoveva agile e veloce tra quella gente presa dai propri affari e che nemmeno si accorgeva del suo passaggio, ma la strada da percorrere era davvero stretta e quasi sempre si finiva per essere strattonati o ci si scontrava erroneamente con qualcuno, tra spallate e gomitate bisognava tenere gli occhi bene aperti per non ritrovarsi per terra. Il ragazzo era piccolo e basso, perduto in mezzo a una folla composta per lo più da uomini di grossa stazza, oltre che creature di altre razze umanoidi, come un giovane germoglio in una grande foresta di sequoie.
    La gioia di aver finalmente messo piede alla tanto agognata Lunaria, fu momentaneamente sostituita dalla confusione e dal timore del perdersi, se non peggio, finché non lo raggiunse l’energumeno della sua ciurma. L’uomo era incredibilmente riuscito a individuarlo e raggiungerlo in mezzo alla folla e gli chiese se aveva voglia di andare a farsi una bevuta al pub. Il giovane acconsentì con un semplice cenno del capo e un sorriso, mettendosi alle calcagna del suo salvatore.
    Entrarono all’interno del pub designato per passare il tempo libero, l’insegna diceva “Dal Nano Ubriaco”, tipica di quelle taverne di porto per pirati e malviventi. Nell’aprire la porta, si poté subito notare la gran confusione di voci, e come il posto fosse incredibilmente affollato, compensato dall’immensa grandezza. I muri e i mobili erano tutti in legno, sembravano molto antichi e logori, un luogo povero ma dove a quanto pare si poteva brindare in compagnia con delle ottime bevande.
    -Non parlare o avvicinarti a nessuno oltre a noi della ciurma. Questo locale è frequentato da pirati cacciatori di qualsiasi genere, basta uno sguardo, anche solo per sbaglio o di sfuggita, che lo usano come pretesto per spaccarti una bottiglia in testa. E quando te lo dico io, tieni la testa bassa e fai silenzio.- Avvertì l’energumeno, dandogli le indicazioni per una pacifica e quieta convivenza.
    A quanto pare erano delle regole non scritte tra pirati, per evitare di dar vita a continue risse e competizioni azzardate, ma soprattutto per non morire. Il gruppo prese un tavolo vuoto, erano ben otto uomini, Gil incluso, chiusi nell’angolo poco illuminato e più tranquillo della taverna. Poco dopo furono raggiunti da una donna molto graziosa dalla pelle azzurra, intensi occhi gialli da felino, lunghi capelli arancioni e una lunga coda sottile, che ondeggiava alle sue spalle con un movimento ipnotico. Indossava pantaloni semplici, un paio di stivali lunghi con un breve tacco e un bustino merlato, collegato alle braccia, che faceva risaltare il seno prosperoso.
    -Cosa posso servire a voi rudi uomini di mare?- Domandò la donna con fare sensuale.
    -Ci porti otto boccali di rum!- Urlò uno dei pirati del gruppo a nome di tutti.
    Gillian non fu interpellato e sembrava che non importasse la sua giovane età. Il gruppo parlava allegramente, ignorando il mozzo, che timido e silenzioso stava rintanato nel suo piccolo, con le braccia in avanti e le mani poggiate alla panca tra le gambe. L’energumeno lo studiò per qualche istante in quella condizione simile al castigo, e giunse alla conclusione che dato che ormai faceva parte della ciurma, seppur come semplice mozzo, bisognava dargli solidarietà e includerlo nella vita piratesca. Il gigante quindi, allungò il braccio intorno al collo del giovane, strattonandolo verso di sé con fare amichevole.
    -Non mi sono ancora presentato, sono Kurtlin Loud, ma puoi chiamarmi Kurt.- Disse l’uomo.
    -Io sono Gillian O’ Connor, ma puoi chiamarmi Gil.- Rispose educatamente, senza più vergogna in viso.
    Intanto le bevande giunsero al tavolo, e rapidamente furono passate ai rispettivi proprietari. Una volta che tutti ebbero l’alcool tra le mani, alzarono i boccali, facendo il tipico brindisi prima di festeggiare, e così fece anche Gil, titubante e timido, poiché purtroppo si sentiva ancora un estraneo nel gruppo, solo con Kurt riusciva ad aprirsi leggermente, e si ritrovò a rivalutarlo come persona, essendo stato gentile a presentarsi e pensare a lui, non era poi crudele come se l’era immaginato al loro primo incontro. Tenendo il boccale con entrambe le mani, Gillian prese un sorso del prezioso nettare divino di cui ogni pirata era ghiotto, per poi mettersi a tossire per quanto era pesante, lasciando che l’amico lo aiutasse con una pacca sulla schiena.
    -Troppo forte per te, eh ragazzino? Lascialo pure, lo berrò io dopo.- Rispose gentilmente il pirata.
    In quel momento, la porta della taverna s’aprì con un sonoro tonfo e il silenzio improvvisamente cadde sulla folla di avventori. Come detto appena entrati, Kurt intimò al giovane di fare silenzio, mentre i passi del nuovo giunto rimbombavano sul legno della taverna, come il pendolo di un orologio che batte il suo ritmico avanti e indietro. Era un uomo coperto da un lungo soprabito bianco con bordi neri, pantaloni semplici e stivali, portava una folta chioma corvina spettinata che giungeva poco sotto le scapole, e possedeva una coppia di occhi verdi brillanti e rari come smeraldi. Si capiva immediatamente che era uno spadaccino, grazie alla lunga katana orientale di pregiata fattura chiusa gelosamente dal fodero che teneva appeso alla cintura, e dal silenzio che era piombato così all’improvviso, Gillian dedusse che doveva essere un pezzo grosso.
    -Chi è quell’uomo?- Domandò sottovoce al pirata più esperto.
    -Quello è Frank Basil, è il braccio destro di Lady Martagon, il Giglio Purpureo.- Rispose semplicemente l’uomo.
    Accertatosi di chi fosse quell’individuo, il locale riprese un po’ di vita, seppur non accesa e movimentata come in precedenza. Tutti tranquillamente ripresero a bere e ritornarono a dialogare, e come spiegò successivamente Kurt, era uno molto tranquillo e pacifico se non disturbato direttamente. Purtroppo ogni volta che faceva il suo ingresso qualcuno di un certo livello, bisognava far silenzio, per non rischiare di ritrovarsi davanti ad una testa calda molto irascibile.
    Uno dietro l’altro passarono i minuti, nei quali Gil ebbe modo di conoscere più a fondo i suoi compagni seduti al tavolo, finché il famoso pirata vestito di bianco si alzò, pronto ad andarsene. Il giovane lo fissò, sapendo che non era un tipo di cui preoccuparsi, e vedeva in lui uno dei tanti esempi del pirata cacciatore che voleva diventare: buono, gentile e calmo ma temuto e ammirato per la sua bravura e le sue capacità, oltre che essere al servizio di un capitano di fama universale.
    Ormai i bicchieri erano vuoti, la giornata stava volgendo al termine ed era meglio rientrare sulla nave se non si voleva ricevere una sgridata memorabile da parte del capitano.
    Usciti dalla taverna, il gruppo si mosse in direzione del porto per fare ritorno, tranne Kurt che andò nella direzione opposta, dicendo di avere un incarico speciale da compiere prima di tornare. Gillian, che ormai si sentiva in confidenza con quell’uomo e libero di potersi affidare a lui, domandò cosa dovesse fare, ed egli rispose semplicemente che doveva andare a vedere se sulla “bacheca” c’era qualche incarico che potesse sfruttare molti soldi. Avendo sognato e amato la professione del cacciatore pirata, sapeva che la bacheca a cui si riferiva il compagno era quella su cui venivano elencate le bestie più pericolose dello spazio, e che ognuna di loro aveva una taglia sulla testa. Il giovane, inizialmente titubante, chiese se poteva accompagnarlo e quando Kurt rispose positivamente, sorrise e con uno scatto veloce lo raggiunse al suo fianco, curioso di scoprire come si svolgesse la presa in carico delle missioni.




    Capitolo Quinto – La Bacheca delle bestie ricercate

    Gillian e Kurt proseguirono il loro cammino, fianco a fianco con passo svelto e sicuro, finché svoltarono in un lunghissimo viale proprio al centro della grande città portuale di Lunaria. Ai lati della strada faceva bella mostra di sé una sfilza di negozi di ogni genere, mercanti provenienti da ogni dove e appartenenti a razze diverse, che vendevano qualsiasi cosa potesse interessare alla moltitudine di viaggiatori che tutti i giorni passavano di là, in primis equipaggiamenti e medicamenti. In fondo alla strada, chiaramente visibile anche da lontano, prendeva posto un edificio gigantesco, dalla base circolare e il tetto aperto formato da due lamine curve, che si richiudono su se stesse in caso di maltempo.
    Il ragazzo studiò la costruzione con sempre maggior attenzione ai dettagli, man mano che si avvicinava e nel frattempo, nel suo cuore la curiosità crebbe come un germoglio in piena vita: finalmente avrebbe visto il luogo in cui i pirati cacciatori si recavano per prendere le missioni, così da racimolare denaro compiendo atti di bene, al contrario di chi arrotonda il compenso con razzie e violenza. A pochi metri di distanza dall’edificio, Gillian si rese conto che non erano gli unici che puntavano in quella direzione, infatti, bastava guardarsi attorno per notare un mucchio di guerrieri di entrambi i sessi. Ognuno di loro, agli occhi del giovane, era pari a una divinità scesa in terra, che brillava di luce propria e che emanava una forte essenza di coraggio, forza e lealtà.
    Quando misero piede all’interno della struttura, videro una grossa folla di gente in attesa al centro della stanza, l’unica dell’intero edificio e abbastanza capiente da contenere all’incirca ventimila uomini. Le persone stavano semplicemente in piedi con lo sguardo verso l’alto dove uno schermo piatto gigante trasmetteva dati su dati che per Gil erano incomprensibili, come una lingua sconosciuta.
    Sopra quello schermo, vi era una balconata su cui prendeva posto un uomo, per l’esattezza un soldato, chiaramente appartenente ed emissario del governo universale. Indossava un mantello e una tuta nera aderente, sulla quale erano posti svariati pezzi d’armatura: una pettorina, su cui era disegnato il simbolo del governo, spallacci, bracciali e parastinchi, a completare il suo rigido vestiario stava un elmo con visiera tecnologica, tutto ciò che indossava era incredibilmente costoso e tecnologicamente all’avanguardia, rendendoli migliori pezzi sulla piazza. All’improvviso, l’uomo ordinò che ci fosse silenzio e diede inizio alla nuova seduta.
    Kurt a quel punto, prese dalla tasca dei pantaloni uno strano dispositivo di forma quadrata con un unico pulsante bianco nel centro, che aveva tutta l’aria di essere un telecomando, Gil chiese spiegazioni e l’uomo fu lieto di dargliele, contento della sua curiosità e voglia di sapere il più possibile sul funzionamento della vita in cui aveva deciso di imbarcarsi con tanta caparbietà. In pratica, sullo schermo sarebbero comparse le varie missive, con tanto di ubicazione, bestie da affrontare e pagamento, e se qualcuno era interessato al lavoro che vedeva impresso in quel momento doveva solamente premere il pulsante. Il telecomando avrebbe quindi inviato al computer centrale un segnale distinto e unico, per capire ed elencare quali erano le ciurme interessate alla missiva, ma solo una sarebbe stata scelta per ricevere l’incarico e la decisione veniva presa in base alla fama che aveva accumulato. Di conseguenza, i più forti avevano la precedenza sui più deboli, e le missioni più fruttuose solitamente venivano assegnate alle solite persone.
    Terminata la spiegazione di Kurt passarono pochi secondi prima che sullo schermo apparissero i dati della prima missiva… una missione incredibilmente interessante: si trattava di raggiungere Uberkon e sterminare una nidiata di Pirofols, e il compenso era di ben settantamila monete d’oro. Immediatamente, tutti quanti premettero il pulsante del loro telecomando nella speranza di riuscire ad ottenere la missione. Che l’occasione fosse lampante era chiaro come la luce del sole, e chiunque poteva diventare improvvisamente e schifosamente ricco. Dopo dieci secondi di tempo per premere il pulsante, il computer fece apparire sullo schermo il simbolo della ciurma vincente: un pugno chiuso rivolto verso l’alto, che impugnava una catena, con due pugnali incrociati alle spalle. Tutti rimasero sorpresi, sbalorditi e increduli nello scoprire che in mezzo alla folla ci fosse qualcuno appartenete a quella ciurma, e alla notizia il silenzio s’insinuò tra i pirati come un’invisibile coltre di nebbia, gettando i semi della confusione.
    -Missione assegnata alla ciurma del Musico Nero.-
    Sentenziò come un giudice il soldato, che sbatté il martello, interrompendo per un istante la quiete che s’era accomodata tra gli astanti, e fece proseguire quella che sembrava in tutto e per tutto un’asta. I presenti però, gli diedero poco più di un secondo d’attenzione, perché erano occupati a guardare in alto, dal lato opposto della balconata su cui si ergeva l’emissario del governo universale, alle loro spalle, dove c’erano gli spalti in cui solitamente prendevano posto i migliori. Non c’era nessuno seduto su quei troni degni di re e regine, c’era solamente una donna, eretta e immobile come una colonna, dai lunghi e lisci capelli color castano scuro, tenuti in ordine grazie a una bandana scarlatta, che le donava un’aria selvaggia, e gli occhi simili al legno di un delicato ciliegio. Indossava una canotta bianca, che copriva le sue forme, sopra ad essa una giacca senza maniche piena di tasche, dei pantaloni cargo e un paio di grossi anfibi da militare, vistosi erano i suoi guanti di cuoio, che sui palmi recavano una mezza sfera di rosso lucente. Il suo viso dalla carnagione leggermente abbronzata era attraversato da una profonda e intima serietà, che forse nessuno avrebbe mai potuto descrivere o replicare, e le sue labbra rosee e piene, tese in una linea orizzontale, non mostravano la minima ombra di un qualsivoglia pensiero o sentimento.
    -Quella è Jessie, l’Arcano Rubino, la vice capitano del Musico Nero! Lui è l’attuale detentore del titolo di Imperatore Pirata, e lo detiene da ben sessantotto anni. Nell’ultimo periodo, però, non si fa più vedere in pubblico, mi chiedo perché.- Disse Kurt, anticipando il ragazzo che stava appunto per domandare chi fosse quella donna, curioso come al suo solito.
    Gillian guardò quella ragazza con occhi pieni di stupore e ammirazione, come se stesse guardando un angelo sceso in terra, e doveva ammetterlo, un giorno avrebbe voluto conoscere l’Imperatore Pirata, che doveva sicuramente essere un grand’uomo. La ragazza castana scomparve, silenziosa e veloce com’era apparsa di fronte alle menti spaesate dei presenti, avendo ormai preso la sua missione e abbandonò i pirati al proseguimento dell’asta per vedere che offerte di lavoro erano ancora disponibili.
    Dopo una lunga rassegna e assegnazione di varie missioni, con le rispettive soddisfazioni e delusioni, Gillian iniziò a pensare che la ciurma del Capitano d’Acciaio non doveva essere molto nota o potente, dato che un po’ di missive non sono state assegnate a loro. Tuttavia, ecco che finalmente, una missione venne loro affidata: dovevano occuparsi della caccia di alcuni Draghim, nel pianeta forestale di Omea, qualcosa di bello impegnativo che avrebbe fruttato millequattrocento monete d’oro, una cifra di cui, alla fine, ci si poteva accontentare. Avendo ottenuto ciò che desideravano, lasciarono l’assemblea e ripercorsero il tragitto fatto ore prima per tornare alla nave, poiché ormai il sole stava tramontando e il cielo s’era tinto d’un allegro e promettente arancio.
    Sulla via del ritorno, Gil pensò bene di informarsi al meglio riguardo ai pirati e il loro sistema gerarchico, perché c’erano fin troppe cose di cui era ancora ignaro.
    -Prima hai detto che il Musico Nero è l’Imperatore Pirata e alla taverna, questo pomeriggio, avete tutti temuto Frank Basil per la ciurma in cui milita. Anche prima, nella sala della bacheca, mi hai detto che il computer seleziona la ciurma cui affidare la missione in base alla sua fama e potenza… qual è, insomma, il grado gerarchico?- Domandò tutto d’un fiato il giovane al compagno.
    -La cosa può sembrare complessa, ma è piuttosto semplice in realtà.- Iniziò Kurt, dandogli un’occhiata veloce. –Quello di Imperatore Pirata è un titolo che si ottiene se si sconfigge colui che lo detiene al momento, ma se quest’ultimo muore di cause naturali o ucciso dalle bestie, semplicemente si organizza dieci anni dopo un torneo. Sotto l’Imperatore ci sono i Campioni, che vengono nominati semplicemente perché non sono mai stati battuti, e sono gli unici che potrebbero tener testa all’Imperatore. Tutti gli altri sono semplici pirati, chi più famoso e chi meno.- Spiegò, snocciolando la lezione su una politica che ormai conosceva a menadito. -Se vedi una polena ti conviene fuggire, tra pirati avere una polena è simbolo di forza, e queste navi se non sono famose vengono attaccate per derubarle, solo i Campioni e l’Imperatore hanno la polena in pratica, perché nessuno li ha sconfitti o osa affrontarli.- Concluse in modo esauriente, dando anche quell’ultimo avvertimento e notando come a ogni parola che pronunciava il ragazzo sembrava pendergli dalle labbra con uno sguardo stracolmo di interesse e voglia di sapere.
    -E perché l’Imperatore non attacca i Campioni, oppure perché i Campioni stessi si attaccano tra di loro?- Domandò ancora il giovane, trovando un punto poco chiaro che gli pareva privo di una logica: in fondo erano pirati, e quindi gli altri Campioni erano rivali.
    -Questo per due motivi: per non correre il rischio di perdere, ma anche perché tra di loro c’è una sorta di alleanza e n legame di rispetto reciproco, per cui tra di loro non si toccano, anzi, spesso fanno pure missioni insieme e s’incontrano senza intenzioni ostili.- Concluse il pirata.
    Ormai erano giunti alla nave, e le spiegazioni per quel momento erano terminate, come il giorno che a quell’ora stava già cedendo il posto all’elegante e vanitosa notte, se c’era qualche altro dilemma a tormentare la mente di Gil sarebbe stato sciolto più avanti, perché ora era giunto il tempo del riposo.


    Edited by Red Typhoon Seppy - 13/6/2012, 21:38
  14. .
    Capitolo Terzo – Il Capitano d’Acciaio

    Il viaggio proseguiva pacifico e privo d’intoppi, permettendo al ragazzo chiuso nel barile di godersi una sana dormita per far riposare le proprie membra affaticate dalla giornata di lavoro e dalle mille emozioni che l’avevano travolto quella stessa sera. Sembrava che tutto stesse scorrendo per il verso giusto, forse troppo, perché, infatti, non tardarono a farsi vivi gli imprevisti e le situazioni spiacevoli, loro fedeli damigelle. Un rumore improvviso svegliò Gillian dal suo riposo: qualcuno era entrato nella stiva a prendere qualcosa. Con suo sommo terrore, fu preso il barile accanto al suo, e un altro ancora, fin quando non toccò anche a quello nel quale si era rifugiato, nella speranza di arrivare indisturbato a destinazione. Aveva capito di essere spacciato, perché se avevano preso la botte per portarla in coperta, di certo l’avrebbero aperta, trovandolo che scroccava un passaggio.
    La tensione era alle stelle e il cuore gli pulsava frenetico nel petto, quasi volesse sfondarlo, mentre i pirati salivano le scale con il barile, non sapendo cosa lo attendeva sulla cima. Finalmente fu posato a terra e poté udire chiaramente l’echeggiare di urla e l’aria di festa, facendogli capire che stavano gioendo con gli alcolici, e dovevano aver terminato le scorte che avevano sul ponte per essere stati costretti a scendere nella stiva. Aprirono i barili, compreso quello in cui si era nascosto il giovane Gillian. L’ora del giudizio era infine giunta, rapida e inesorabile, come la sera che avanza divorando la presenza del giorno ad ogni passo. La luce entrò nel barile, rivelando a tutti i presenti il corpo del ragazzino al posto della loro bevanda preferita, il che lasciò tutti dapprima sbigottiti, ma in pochi secondi la sorpresa mutò in irritazione e rabbia profonda per la mancanza del rum e per l’indesiderata apparizione di un clandestino. Un uomo alto e alquanto massiccio lo afferrò per il colletto della giacca, come se fosse un gattino, alzandolo e tenendolo a mezz’aria, mostrando quanto fosse esiguo il suo peso di fronte a quella forza. Era calvo, muscoloso come pochi, con una vistosa cicatrice che gli attraversava il lato destro del mento.
    -E tu chi sei?- Sentenziò lentamente e con voce profonda il pirata.
    Il ragazzo non riuscì a rispondere, poiché paralizzato dalla paura che gli scorreva in corpo per emettere anche un solo piccolo fiato. Tremava vistosamente sotto gli sguardi degli astanti, le lacrime si trattenevano a stento sulla soglia degli occhi, pronte a precipitare quando fosse giunto l’apice del momento di crisi, come la cima di un’imponente cascata che getta le proprie acque verso il suolo. All’unisono, i pirati incitarono il gigante suggerendogli di picchiarlo, per mettere su uno spettacolo che potesse compensare il rum mancante e per fargli pagare per aver sprecato quello che per loro era paragonabile al sacro nettare delle divinità. Il pirata, dunque, accettò il consiglio dei suoi compagni e alzò il pugno verso il cielo per caricarlo e infondergli quanta più forza possibile, mentre le lacrime incominciarono a cadere dagli occhi del ragazzo, come i pesanti chicchi di una violenta grandinata. Vedendo la mano avvicinarsi velocemente al proprio viso, il giovane chiuse gli occhi per paura e per istinto, in attesa di subire il danno, che però, non avvenne.
    Aprì titubante una palpebra e per un momento sperò che fosse tutto un brutto sogno e che stesse ancora dormento all’interno del barile, però così non era. Quando scorse il pugno fermo, si convinse ad aprire per bene entrambi gli occhi per capire perché non era stato colpito, e notò che il braccio era stato fermato da una mano vestita da un elegante guanto di pelle.
    Il silenzio regnava sovrano, sembravano tutti aver timore di quella nuova figura, che di certo doveva essere dotata di una forza incredibile, per bloccare un energumeno del genere con una semplice mano.
    -Cosa sta succedendo qui?- Domandò seccato l’uomo.
    -C-capitano, è lei.- Costatò l’omaccione titubante. -Abbiamo trovato questo moccioso intrufolato sulla nave.- Rispose il pirata.
    L’uomo appena giunto, indentificato come il capitano della ciurma, era molto alto e dal fisico slanciato e snello, aveva lunghi capelli corvini molto ribelli e spettinati, come una massa indomabile di serpi pronte a colpire, un occhio nero come la notte, come quelli dei tetri corvi, mentre l’atro presentava una cicatrice diagonale che lo costringeva al buio della palpebra chiusa. Indossava una tuta aderente nera, con delle protezioni leggere fatte di un materiale simile alla gommapiuma su ogni arto, sull’addome e sulla schiena. Il capitano fissò il ragazzo con un’intensità tale da penetrare nella sua mente e nella sua anima, studiandolo in ogni sua sfaccettatura, perché con quell’unico occhio sapeva incutere davvero tanto timore in un codardo alle prime armi come Gil. Il ragazzo era evidentemente spaventato, ma smise di piangere, non sapeva più cosa temere, se per la sua vita o per qualche tortura crudele da parte di quella persona tanto magnetica e influente.
    -…gettatelo dal ponte.- sentenziò l’uomo con freddezza, dando le spalle alla scena e allontanandosi con passo lento.
    I pirati si misero a saltare e festeggiare nuovamente gioiosi e soddisfatti, avendo ottenuto almeno un minimo di divertimento con quel ragazzino che aveva osato salire a bordo come clandestino. Il giovane scoppiò in lacrime, non poté trattenersi nemmeno volendo perché sconvolto dalla piega assunta dagli eventi: sarebbe morto ancor prima di diventare un cacciatore pirata nello spazio che aveva tanto desiderato raggiungere. Cercò di dimenarsi, ma fu trattenuto e tenuto fermo dagli uomini, che bloccarono ogni suo arto, mentre velocemente lo portavano verso l’estremità sinistra della nave.
    Il capitano salì le scale, con passi misurati e cadenzati, e raggiunse il punto più alto del ponte, affiancando il timone e ammirando crudelmente da quella posizione eccelsa quell’atto di pura malvagità, che non aveva esitato a decretare.
    -No, ti prego! Mi dispiace, non volevo! Farò qualsiasi cosa, ma ti prego, lasciami vivere! Ho un sogno da inseguire!- Urlò in preda al panico il giovane.
    Gli uomini stavano per scaraventarlo giù, quando la mano del loro capitano si alzò in segno di arresto, bloccando qualsiasi loro azione, come la lama di un feroce boia che viene fermata a pochi centimetri dal collo che deve recidere. Il ragazzo, con gli occhi colmi di lacrime trattenute e il viso pieno di quelle già versate, alzò il capo per poter vedere l’uomo, ansioso di sapere cosa stesse tramando per lui e per la sua vita. Aveva fermato i suoi uomini per ascoltarlo e trattare, oppure solo per allungare la sua terribile agonia e quindi il divertimento della ciurma?
    -Hai un sogno ragazzo?- Domandò curioso l’uomo.
    -Voglio diventare un pirata cacciatore!- Urlò in risposta il giovane, scatenando l’ilarità generale.
    -HAHAHAHA! Non farmi ridere moccioso! Puzzi ancora di latte e se il vento soffia, ti trascina con sé per quanto sei piccolo e gracile… e vorresti essere un cacciatore?- Sentenziò puntiglioso il capitano, la cui lingua pareva essere pungente come la lama di un pugnale che spinge sulla delicata pelle della gola.
    -Sì, so di essere ancora giovane e debole, ma allenandomi e facendo esperienza sono sicuro che un giorno sarò un cacciatore pirata forte. Sono determinato e pronto a tutto pur di riuscirci.- Replicò il ragazzo, che impedì a fatica la caduta di altre lacrime, ma il tono della voce era deciso e serio, non più fanciullesco come quando era rilassato o tremante e impaurito come aveva dimostrato pochi attimi prima.
    Il capitano non rispose subito, si mise a riflettere con calma e pazienza, indeciso se ucciderlo o dargli una chance.
    -Va bene allora… fammi vedere quanto sei determinato.- Disse l’uomo, infine.
    Subito dopo, fece un cenno con il capo di metterlo a terra e ciò risollevò immensamente l’animo del giovane, che non perse tempo e tornò a fissare il giudice di quell’improvvisato tribunale semovente. L’uomo si sollevò oltre il cornicione con un braccio e scese al livello inferiore con un salto molto atletico, atterrando su un ginocchio e alzandosi lentamente. Gillian sapeva di avere di fronte un uomo forte, nonché capitano di quella ciurma, ma doveva dimostrargli in qualsiasi modo che le sue parole erano sincere e che lui era sicuro e pronto a tutto pur di farle diventare una realtà. Con un ulteriore cenno del capo, fece capire a uno dei suoi uomini di passare al ragazzo un’arma, e uno di questi andò sotto coperta per tornare subito dopo con una spada. Con fare menefreghista e rilassato, la lanciò verso il ragazzo, che per paura di farsi male si scansò, lasciando che si conficcasse nel pavimento. Gli uomini risero della sua reazione e osservarono sempre più divertiti, alcuni con una certa dose di curiosità, come il giovane brandì la spada con ambo le mani, sollevandola davanti a sé, destabilizzando però, la sua posizione.
    Barcollava ed era evidente che il peso dell’arma era superiore alle sue aspettative, infatti immaginandola più leggera non aveva messo abbastanza forza nelle braccia. Partirono ulteriori risate di divertimento, mentre Gillian tentava in qualche modo di recuperare l’equilibrio con pochi risultati. Alla fine, puntò l’arma contro il suo avversario e, accompagnato da un grido di rabbia, iniziò a correre nella sua direzione, tendendo le braccia dietro di sé per dare potenza al fendente. Il capitano non si mosse, rimase immobile in attesa, il ragazzo lo raggiunse e gli sferrò un colpo di spada con la certezza di prenderlo in pieno, dal momento che non intendeva spostarsi o fare qualcosa per respingerlo o difendersi. Tuttavia, non accadde quanto sperato da Gillian.
    La lama cozzò contro il suo corpo, rimbalzando e venendo lanciata via, facendo perdere nuovamente l’equilibrio al ragazzo che cadde a terra e si ritrovò disarmato in balia di un guerriero che probabilmente non avrebbe mai potuto sconfiggere nemmeno nelle sue più recondite fantasie.
    Incredibilmente, la spada non aveva fatto nulla al capitano, che subì e incassò il fendente alla spalla, senza riportare nemmeno l’ombra di una ferita. Solamente il tessuto che avvolgeva il suo corpo si rovinò a causa del filo dell’arma, ma velocemente lo squarcio si richiuse, come se non fosse mai esistito, mostrando che la tuta era uno di quegli indumenti con nano tecnologia auto riparante. Quello era normale, ma il fatto che un uomo subisse in pieno un attacco ingente, anche se effettuato da un principiante, uscendone illeso, era qualcosa di superlativo e surreale. Gillian infatti, lo guardava con puro terrore dipinto nelle iridi celesti, che rapidamente si diffondeva all’intero viso, e continuava a domandarsi chi fosse l’uomo che aveva di fronte a sé, che ora lo fissava dall’alto al basso con quel suo occhio penetrante, pronto a emettere la sentenza che avrebbe segnato per sempre il suo destino.
    Il capitano si voltò senza proferire verbo, lasciando che i suoi passi scandissero il tempo battendo sul pavimento del ponte e allontanandosi verso la stiva per aprirne la porta e recuperare una scopa. La lanciò al ragazzo che questa volta non si fece cogliere alla sprovvista, e che prontamente la prese tra le mani anche se in modo abbastanza goffo, mentre i pirati continuavano a ridere, seppur in tono minore rispetto all’inizio di quella storia che sembrava doversi concludere in tragedia, ma che aveva fortunatamente cambiato la scena finale.
    Il capitano riprese la sua posizione accanto al timone, osservando ancora una volta dall’alto quel ragazzino rimasto pietrificato sul posto, come un dio che osserva i comuni mortali che cercano una redenzione che non avranno mai. Gillian fissò prima la scopa e poi il capitano, capendo che gli era permesso di restare in vita e che gli era concesso il lusso di restare a bordo, però avrebbe dovuto passare la maggior parte del suo tempo a fare il mozzo.
    Il pirata ruppe il silenzio con una risatina, passandosi una mano nei capelli per spostare alcuni ciuffi ribelli, fissando intensamente il ragazzo.
    -E ricorda moccioso… io sono Terry Steel, il tuo peggiore incubo.-


    Edited by Liberty89 - 31/3/2012, 00:26
  15. .
    Autore: Red Typhoon Seppy
    Titolo: Dreamstar
    Rating: Giallo (Arancione e Rosso ogni tanto)
    Genere: Avventura, Fantasy, Fantascientifico
    Avvertimenti: Long-fic
    Note dell'autore: ///


    Capitolo Primo – Il Sogno di una Vita

    Il cielo stellato e quieto rasserenava quella notte, lasciando viaggiare con la mente la fantasia. Seduto sul ciglio di una finestra, un giovane ragazzo non ancora maggiorenne, ammirava quelle luci cosparse sul telo scuro, maestoso come un antico dipinto. Nei suoi occhi si rifletteva quella luce, ardente di passione, il sogno di una vita in mezzo a quel mare infinito. Era alto solamente un metro e sessanta, con i capelli blu dal taglio a caschetto che gli arrivavano sotto le orecchie, e due ciuffi ai lati degli occhi, che erano chiari come due zaffiri lucenti, una corporatura molto gracile ed esile, ancora in sviluppo, e un viso dai lineamenti gentili. Mentre vagava con i suoi pensieri e immaginava di poter intraprendere quel lungo viaggio tanto desiderato, lo interruppe il rumore della porta che si apriva.
    Nella stanza si fece avanti un uomo anziano, dai corti capelli e barba grigia, che lentamente si avviò a sedersi sulla sedia del tavolo rotondo al centro dell’ambiente. Era una stanza semplice, ma accogliente, con il tavolo nel mezzo, circondato da quattro sedie, come i punti cardinali di una bussola, e illuminata dalla luce degli sguardi notturni che filtravano dalla finestra e dalla piccola ma calda fiamma di una coppia di candele, posate in un candelabro accanto ad uno specchio, appeso alla parete vicina a quella della finestra.
    Con sé, il vecchio portava un vassoio, sul quale vi erano due tazze di caldo e fumante the, pronto per essere goduto e rilassare il corpo affaticato, dopo una lunga giornata di lavoro. Il ragazzo, ormai lontano dalle sue riflessioni, si alzò e raggiunse l’anziano, sedendosi al capo opposto del piano ligneo, che comunque non distava più di due metri. Entrambi presero la loro tazza, iniziando a bere la bevanda a piccoli sorsi, assaporandone l’aroma leggero e delicato.
    -Allora Gillian… com’è andato il lavoro quest’oggi?- Domandò l’anziano signore al giovane.
    -… noioso e stancante come al solito.- Rispose il ragazzo, sospirando, con sguardo e tono triste.
    Si capiva che il giovane non era lieto del lavoro che svolgeva, purtroppo però, bisognava procurarsi da vivere in qualche modo.
    In quella piccola casa di sole cinque stanze, viveva il giovane Gillian, insieme a suo nonno oramai anziano. I genitori non li aveva, sua madre era morta tempo addietro, mentre del genitore paterno nulla sapeva, un mistero che faceva parte della sua vita fin dalla nascita. L’uomo abbassò lo sguardo imbarazzato, come se non sapesse di preciso come continuare il dialogo col nipote, come se volesse dire qualcosa, ma temesse di utilizzare erroneamente le parole. Vedendolo alla finestra, con lo sguardo innalzato verso il cielo, capì che ormai il tempo era giunto, non poteva più attendere, doveva agire.
    -Ormai hai compiuto sedici anni, forse è meglio che ti parli di tuo padre…- Disse l’anziano, alzandosi dalla sua sedia e allontanandosi leggermente con passo leggero, dando le spalle al giovane e unendo i pugni dietro la schiena.
    Sospirò, non sapeva come dire esattamente ciò che voleva, mentre il ragazzo lo fissava con occhi curiosi, finalmente avrebbe saputo la verità. -Non so se sia ancora vivo o meno, so solo che non abbandonò tua madre come credi…- proseguì l’anziano, mentre usciva dalla stanza, lasciando la porta aperta, facendo dedurre che sarebbe tornato a breve. Il ragazzo non cambiò espressione, sapeva già che il padre non c’era mai stato, e per lui provava un grande e profondo odio per aver lasciato sua madre, solo, non capì cosa intendesse l’anziano con quelle parole tanto enigmatiche.
    Pochi attimi dopo, l’uomo tornò nella stanza, recando con sé una scatola rettangolare di cartone alta pochi centimetri. La poggiò sul tavolo, spingendola lievemente con la mano verso il ragazzo, facendogli capire che doveva essere lui ad aprirla con un cenno del capo, lasciando traspirare un po’ di tristezza non compresa. Il giovane fu inizialmente confuso, e velocemente aprì quella scatola, per trovare al suo interno quella che sembrava essere una giacca di pelle bruna. La afferrò per gli spallacci, alzandola e ammirandola in tutta la sua bellezza, era un indumento molto pregiato e particolare. Completamente marrone, con del pelo ocra intorno al colletto, un cinturino sul petto per poterla chiudere, due tasche frontali e una sul braccio sinistro, mentre sul destro vi era ricamata chiaramente a mano un’aquila stilizzata rossa, che brandiva un martello tra gli artigli affilati.
    -Quella giacca apparteneva a tuo padre, lui era un cacciatore pirata.- Replicò l’uomo, questa volta più deciso, sollevato dall’essersi tolto un grosso peso.
    Sapeva quali sarebbero state le conseguenze di quelle sue parole, infatti lo sguardo del nipote ne era la conferma. I suoi occhi azzurri si spalancarono per lo stupore immenso, mentre brillavano della stessa luce che assumevano ogni volta che fissava lo splendore delle stelle. Il giovane infatti, cominciò a pensare a quanto doveva essere fantastico suo padre, che come professione svolgeva ciò che il ragazzo sognava di fare da sempre.
    -È giunto il momento che tu intraprenda i tuoi sogni, il tuo destino.- Rispose l’uomo, avvicinandosi al ragazzo e poggiandogli una mano sulla spalla.
    -Non posso, come farai a badare a te stesso? Non voglio abbandonarti per uno stupido sogno come ha fatto mio padre…- Replicò il ragazzo, che coraggiosamente mise da parte la sua ambizione di seguire le orme paterne, costernato del futuro dell’anziano.
    -Non preoccuparti per me, posso sopravvivere anche da solo con la mia pensione e i risparmi che ho messo da parte. Non voglio essere d’intralcio ai tuoi sogni, e come fece tua madre con tuo padre, ti do tutto il mio appoggio per seguire la passione che arde nel tuo cuore.- Sentenziò l’anziano, sorridendo al giovane, mentre una lacrima gli rigava il viso, sia per la gioia ma anche per quel piccolo dispiacere di non poterlo rivedere per molto tempo, forse mai più.
    Il ragazzo era davvero sollevato e pieno di gioia, non solo, ora sapeva tutta la verità. Sapere che suo padre non aveva abbandonato sua madre per egoismo, ma era stata lei stessa a lasciarlo andare perché rincorresse i suoi sogni, fece solo aumentare la voglia di seguire le orme del genitore. Con fretta e agitazione, si alzò dalla sedia, abbracciando il nonno con molta forza, mentre le lacrime grondavano dai suoi occhi, non sapendo se fossero di tristezza o di gioia, senza preoccuparsi dell’essere un uomo. L’anziano lo allontanò dopo qualche minuto, asciugandosi la lacrima con il pugno, e con un fazzoletto successivamente quelle del nipote. Infine, prese quella giacca e aiutò il giovane a indossarla, per poi spingerlo verso il muro, ove c’era uno specchio ad altezza d’uomo.
    -Ti sta proprio bene, assomigli proprio a tuo padre quando aveva la tua età.- Disse il vecchio sorridente.
    Il ragazzo si ammirava con sguardo lieto e soddisfatto, mentre con le mani tastava quella giacca che teneva addosso e che fasciava il suo corpo alla perfezione. Pareva non crederci di indossarla e che gli stava così bene, quasi fosse stata fatta apposta per lui. La strinse forte tra le dita e fece un lungo respiro profondo: finalmente poteva rendere realtà il suo sogno di diventare un cacciatore pirata. L’uomo gli diede qualche pacca sulla spalla, cercando di svegliarlo da quello stato di trance profonda in cui s’era immerso poiché non era più il momento di sognare, era giunto il momento di vivere.
    Rimaneva un solo problema: non sapeva proprio da che parte incominciare. Non aveva contatti nel mondo dei suoi sogni e non c’era alcun modo di intraprendere tale carriera sul suo piccolo pianeta.
    -Grazie nonno, ma non so come fare…- Asserì il giovane.
    -Ho sentito prima all’osteria che c’è una nave pirata ormeggiata al nostro molo, da quello che ha detto l’oste, sono qui per prendere provviste. Se sei fortunato, ti porteranno alla capitale portuale di Luminaria, da lì potrai trovare una ciurma adatta a te. Ma corri, ho sentito che partiranno proprio questa sera, chi sa poi quando ti ricapita un’occasione simile.- Disse l’anziano, spingendo il giovane verso la porta, infilandogli i guanti di pelle tra le mani e mettendogli fretta, felice di poterlo aiutare anche solo con quell’informazione nel realizzare il suo sogno.
    Il ragazzo aprì la porta, si soffermò un attimo e con un cenno sorridente salutò l’uomo. Non perse nemmeno tempo a farsi le valige o prendere qualcosa, partì con addosso una semplice maglietta a maniche corte bianca sotto la giacca, dei pantaloni larghi e stivali da lavoro. Corse più in fretta che poté per le strade deserte a causa della notte, avviandosi verso il porto, ove finalmente forse, avrebbe incoronato il suo sogno di diventare un cacciatore pirata.



    Capitolo Secondo – Verso l’Infinito

    Gillian finalmente era felice, la sua vita, fino a quel momento scandita dai rintocchi di un’immutata routine, stava prendendo una svolta, si ritrovò quasi incredulo di fronte a quel grande e inaspettato cambiamento, ma non vi badò più di tanto a quella sensazione e scosse la testa, riprendendo a concentrarsi sulla corsa per evitare di capitombolare a terra come una mela caduta dal proprio ramo. Cresciuto senza genitori, grazie alle attente cure del nonno, dovendo andare a lavorare molto giovane per poter sopravvivere al mondo che lo circondava, aveva coltivato i propri sogni come un abile giardiniere che si prende cura di un delicato roseto, che lascia in trepida attesa di vederne i boccioli.
    Correva come un folle verso il molo, come se avesse il demonio alle calcagna pronto a colpirlo, non gli importava nulla di quello che poteva accadergli, non aveva alcuna paura, solamente la speranza che brillava nitida nei suoi occhi color zaffiro. La stanchezza non la percepiva, seppur il fiato andava man mano mancando, fino a quando, infine, non si arrestò, ormai giunto a destinazione. Come mormoravano le voci dell’osteria, c’era realmente una nave pirata, la prima che il giovane poteva ammirare in tutto il suo splendore.
    Era molto grande, capace sicuramente di portare un esercito di duecento uomini per lo meno, e un carico incalcolabile. Completamente fatta di metallo, dalle forme molto geometriche e cubiche, quella nave era l’avanguardia della moderna tecnologia. Seppur in lontananza, riusciva benissimo a scorgere molti uomini e donne che caricavano immensi barili e casse all’interno della stiva, il rifornimento acquistato. I pirati erano come gli uomini comuni: potevano essere persone gentili e aperte che seguivano le leggi nei limiti delle loro capacità, oppure erano fuorilegge privi di cuore.
    Per sicurezza, il giovane decise che non avrebbe chiesto direttamente di unirsi alla ciurma, bensì si sarebbe in qualche modo intrufolato senza farsi notare. Scattò furtivo verso delle casse, nascondendosi dietro di esse, mentre si sporgeva quel tanto che serviva per osservare l’andamento della ciurma. C’erano molti uomini, e dall’aspetto non sembravano rassicuranti, piuttosto, la giudicò tutta gente rozza e virile, pure le donne avevano una buona muscolatura, tatuaggi o un vestiario ribelle. Gil deglutì quando vide i pirati da vicino, sempre più intimorito che essi potessero essere seriamente dei malintenzionati, ma non demordeva: il coraggio gli fluiva veloce nelle vene con l’adrenalina, come il vento che corre libero in una pianura priva di ostacoli.
    Il cuore batteva a mille pulsandogli nelle orecchie, come un tamburo suonato in una stanza vuota producendo un continuo rimbombo, tremava dalla paura, nata alla vista di quei soggetti temprati dai lunghi viaggi, ma anche dalla trepidazione del momento. In un certo senso, quel furtivo infiltrarsi era già un’avventura, il prologo di quella che poteva tramutarsi in una lunga ed emozionante storia se diventava un pirata cacciatore. Quando scorse un attimo privo di sguardi indiscreti, fece una nuova corsa, questa volta rifugiandosi dietro ad un gruppo di barili. I pirati stavano caricando proprio quelli, e gli erano talmente vicini che riusciva a sentire l’odore dei loro corpi, ma soprattutto, i loro discorsi d’avventura ricchi di particolari, di nomi e cose che non aveva mai visto, sentito o creduto reali fino a quell’istante, un quadro fantastico e invitante che non faceva altro che alimentare il suo desiderio e i suoi sogni.
    -È stato proprio difficile abbattere quel Kobolide, eh?- Disse il primo pirata.
    -Puoi dirlo forte, fortuna che poi ci ha pensato il capitano a stenderlo.- Rispose l’altro.
    Afferrarono a testa un barile, allontanandosi verso la nave. Il momento era quello giusto per agire, e a Gil venne in mente un piccolo sotterfugio per salire indisturbato a bordo. Aprì uno dei barili che aveva di fronte, rovesciando il contenuto dentro un tombino ai bordi del marciapiede, del buon rum andato sprecato, anche se per una giusta causa. Assicurato che il contenitore fosse vuoto, si lanciò dentro veloce, chiudendo il sopra con il coperchio, sperando di non esser stato visto, ma soprattutto di non essere scoperto in seguito.
    Gli uomini intanto, continuavano a caricare ciò che mancava, quando tra gli ultimi toccò al barile contenente il ragazzo. Uno dei pirati alzò a fatica il recipiente incriminato, il che gli parve alquanto sospetto, ciò fece per un attimo intimorire il giovane al suo interno, che temette di vedere infrangersi il suo sogno proprio nel momento in cui stava cominciando. Fortunatamente, l’uomo non si pose ulteriori domande, e semplicemente chiese aiuto al compagno per quel barile stranamente più pesante degli altri.
    Venne caricato con successo a bordo, percepì forte e chiaro il movimento e il contatto con il pavimento, e pochi minuti più tardi sentì distintamente l’hangar chiudersi. Curioso di vedere dove si trovasse, alzò il coperto e sporse solo gli occhi per accertarsi delle sue condizioni: era riuscito con successo nel suo intento di intrufolarsi nella nave. Ritornò dentro il suo nascondiglio, facendo un lungo sospiro di sollievo, che allentò parte della tensione accumulata in quei pochi ed al contempo infiniti momenti, finalmente lieto di proseguire il suo viaggio. Dopo lunghi attimi d’attesa, incominciò a udire l’imbarcazione tremare, e un forte ronzio pesante che consumava il silenzio della stiva. I motori della nave vennero accesi, e lentamente si poterono percepire i lievi spostamenti della nave, e il suono delle onde che s’infrangevano contro lo scafo metallico. Pochi attimi più tardi, non si sentì alcun tremore, il rumore del motore fu lieve e non c’era più rumore dall’esterno della nave. Ciò poteva significare solamente una cosa: la nave aveva preso il volo, verso un mare più profondo e infinito: lo spazio. Il sogno di Gillian che lentamente continuava a divenire sempre più una realtà concreta e tangibile.
    Gil pensò bene di trascorrere quel lungo viaggio riposando, in fondo, era notte, e per raggiungere Lunaria sarebbero servite molte ore. Placò la sua curiosità di uscire dal barile per osservare da una qualche apertura l’invitante e misterioso spazio infinito, dimostrandosi infantile e spensierato, ma anche codardo, in un certo senso, e troppo attaccato al suo sogno per rischiare di vederlo svanire come fumo perché scoperto dai pirati cacciatori. Pensò unicamente a godersi quel delicato viaggio al chiuso, cullandosi con l’ondeggiare quieto dell’imbarcazione, con in mente il pensiero che uno di quei giorni, sarebbe diventato finalmente qualcuno.


    Edited by Liberty89 - 30/4/2012, 01:08
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