A pic for a fic

KH - Raccolta - AkuRoku - AU

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    Fuoco crepuscolare che mai si estinguerà

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    Il mio paesello marcondirondirondello

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    Titolo: Freddo piacere
    Autore: Liberty89
    Genere: Erotico
    Rating: Rosso
    Personaggi: Axel, Roxas
    Avvertimenti: AU, One-shot, Yaoi, Lemon
    Note dell’autrice: Buonsalve! Spero che abbiate passato tutti un buon Natale :3 Posto con un giorno di ritardo, ma penso di ricevere il vostro perdono visto il periodo e i pranzi e/o le cene col parentado che ne derivano. Ma parliamo della fic. Avrete capito leggendo qui sopra che l'atmosfera cambia radicalmente un'altra volta e oggi l'ambiente si scalderà parecchio, nonostante il titolo della fic kukuku~ Preparatevi a leggere qualcosa che potrebbe sorprendervi ù.ù
    Buona lettura!

    Freddo piacere

    ~ Pic #16 ~


    Fu un bacio dolce e insistente a recuperarlo dal mondo dei sogni, ma si svegliò completamente quando si accorse di avere una benda sugli occhi e i polsi legati alla testata del letto. Protestò verso le labbra posate sulle sue e il contatto s'interruppe.
    -Che diavolo…?-
    La risata di Roxas lo zittì. -Tranquillo Axel, non sei stato rapito né altro. È solo qualcosa che voglio provare.-
    Il rosso inarcò un sopracciglio. -E da quando ti piace questo genere di cose?-
    -Come ho detto è qualcosa che voglio provare. Ci stai?- domandò infine, per poi rubargli un altro bacio leggero.
    Attirato dall'intraprendenza del compagno ed eccitato dalla situazione, Axel ghignò. -D'accordo Roxy, vediamo cosa t'inventi.-
    Il biondo gli lasciò un altro bacio a fior di labbra prima di allontanarsi. Affidandosi all'udito, capì che Roxas s'era spostato verso il proprio comodino e aveva smosso qualcosa per poi tornare subito da lui e sollevargli la canottiera che aveva usato per dormire. Reclinò il capo all'indietro quando il compagno prese a baciargli il collo, lentamente e soffermandosi più del dovuto sul pomo d'Adamo. Era così rilassato e preso da quella morbida scia da non aspettarsi per nulla la mossa successiva: un cubetto di ghiaccio gli venne posato sul petto. Sussultò con un piccolo strillo che fece ridere Roxas, mentre indirizzava il gelido oggetto verso il suo capezzolo destro.

    A quel primo cubetto ne erano seguiti altri due, ma era stato un processo lento e quasi snervante per Axel, ma anche terribilmente eccitante visto che il suo biondo aguzzino si era premurato di raccogliere ogni goccia di acqua fredda con la bocca e con la lingua. Lo aveva stuzzicato ovunque, scendendo dal petto verso il ventre e finalmente aveva raggiunto i boxer. Tra i sospiri di piacere e frustrazione, il rosso pregò che Roxas dedicasse qualche attenzione al suo membro, che premeva con insistenza sulla stoffa dell’intimo nero.
    Le labbra di Roxas tornarono sulle sue e in qualche modo riuscì a trascinarlo in un bacio rumoroso e appassionato, vincendone la supremazia finché non si separarono per bisogno d'ossigeno.
    -Come va?- osò chiedere il biondo all'orecchio dell'altro.
    -Una meraviglia…- rispose Axel, muovendo un po' le mani. -Andrebbe ancora meglio se-
    Di nuovo, Roxas riuscì a zittirlo, posando la mano aperta sulla sua erezione ben in risalto sotto l'intimo, procurandogli così una serie di gemiti soddisfatti e di sollievo. Fino a quando non si fermò un'altra volta.
    -Oh, andiamo Roxy… Per quanto ancora vuoi torturarmi?- si lamentò.
    -Non per molto, tranquillo. Vuoi farmi provare un'altra cosa?- chiese il biondino, giocando con l'elastico dei boxer.
    Il rosso annuì in fretta. -Tutto quello che vuoi, purché ti sbrighi…-
    Ottenuto l'assenso desiderato, le morbide e rosee labbra di Roxas si tirarono in un sorriso quasi diabolico, quindi riprese il suo gioco. Con un gran sospiro di ringraziamento da parte di Axel, i boxer furono rimossi e gettati sul pavimento senza riguardi, e posizionatosi tra le gambe dell'amante Roxas avvolse la bocca attorno al membro pulsante. Nel frattempo, la mano destra raggiunse il secchiello dei cubetti e presone uno se lo rigirò tra le dita per qualche secondo per smussarne gli angoli.
    -Pronto Axel?- domandò, tenendo la mano libera sulla coscia del rosso, che sudato e col respiro accelerato ci mise quell'attimo a rispondergli.
    -P-Pronto per cosaaaah!-
    Quasi gridò quando avvertì il gelo del ghiaccio all'interno del suo corpo, ma il suo folle compagno non gli diede il tempo di lanciare insulti né altro, perché tornò a dedicarsi alla sua erezione sfruttando mano, lingua e bocca, mentre le altre dita giocavano col cubetto gelido, allargandogli l'apertura. Il tutto facendo in modo che non raggiungesse l'orgasmo. Se non l'avesse amato, probabilmente l'avrebbe ucciso nel sonno alla prima occasione quel biondo demonio.

    Dopo che anche il terzo cubetto di ghiaccio si era sciolto ed erano cessati i brividi, con il membro eretto e dolorante lasciato brutalmente a se stesso quando era arrivato il secondo, Axel si arrese alla crudeltà del suo amatissimo fidanzato. Ansante, sudato e sull'orlo delle lacrime, non poteva però dire di non essere ancora eccitato nonostante tutto, perché Roxas, per fortuna, aveva fatto le cose per bene -tranne il privargli quell'orgasmo che desiderava da minuti interi. A tutto c'era un limite e lui l'aveva raggiunto da un po', infatti, il salto verso la pazzia era ormai prossimo.
    -Roxy…- lagnò, allungando l'ultima lettera e ricevendo un bacio in risposta. -Possiamo finire…? Per favore?-
    -Mmh…- il biondo sembrò valutare la questione. -Posso fare ancora tutto quello che voglio?-
    All'improvviso, Axel non era più troppo sicuro. -…sì? Dipende?-
    -Ti stai rimangiando la parola data?- chiese. -Non avrai mica paura, vero?-
    -No, certo che no…-
    -Allora?- insisté il biondo, sfiorandogli il basso ventre con la punta delle dita.
    -Sì, d'accordo!- sibilò il rosso a denti stretti, stringendo i pugni.
    Soddisfatto, Roxas si tolse rapidamente i pantaloncini e i boxer chiari, quindi tornò in mezzo alle gambe dell'amante che tremò quando lo obbligò ad aprirle.
    -Ehm… Roxas?-
    -Solo per questa volta, ok?- replicò l'interpellato. -Ovviamente, se ti piace lo rifacciamo.-
    Il biondo si spinse in lui piano e senza fretta, per dargli tempo di abituarsi all'intrusione, che fortunatamente non gli provocò troppo dolore, solo fastidio, che presto mutò in piacere e gli fece inarcare la schiena quando i loro bacini si toccarono. A un suo cenno, Roxas cominciò a muoversi e al suo ritmo si mosse la mano sulla sua erezione, provocandogli gemiti su gemiti e lasciandolo quasi senza fiato.
    Non ci volle molto perché entrambi raggiungessero il culmine del loro piacere che era cresciuto sempre di più a ogni passo di quella tortura giocosa che Roxas aveva messo in moto. Sciolti tutti i suoi legami, Axel rilassò le spalle con un sospiro di sollievo e stanchezza, poi lanciò un'occhiata inquisitoria all'amante che gli rispose con uno sguardo innocente fino all'assurdo, come per dirgli che lui voleva solo giocare.
    Volgendo gli occhi al soffitto, il rosso dichiarò la resa. -Sì, va bene, mi è piaciuto. Contento?- domandò, ottenendo un assenso. -Mi piacerebbe sapere come diamine hai fatto a inventarti una cosa simile.-
    Ripensando a ciò che gli avevano raccontato suo fratello Ventus e Vanitas sulla loro relazione, Roxas dedusse che era meglio tacere.
     
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    Titolo: Oblivion
    Autore: Liberty89
    Genere: Angst, Triste
    Rating: Arancione
    Personaggi: Axel, Roxas, Riku, Sora
    Avvertimenti: AU, Shonen-ai, One-shot, Contenuti Forti (?)
    Note dell’autrice: Buona sera! Questa shot è stata difficile da scrivere, tutto perché era il periodo in cui mi aveva presa un blocco di quelli atroci che mi torturava da un mese. Sapevo perfettamente cosa volevo scrivere, ma semplicemente non ci riuscivo, come spesso capita. Alla fine, per fortuna, scrivere questa fic mi ha ridato un barlume di ispirazione e poi il resto è venuto da sé. La fic di oggi è lunga, molto più lunga delle precedenti ed è un po' diversa rispetto alle altre, spero che questo non sia un problema. Inoltre, credo che meriterebbe un approfondimento, ma mi direte voi ù.ù Buona lettura!


    Oblivion

    ~ Pic #17 ~


    Quando gli tolsero la maschera che da giorni gli copriva la metà superiore del viso, Axel si guardò attorno confuso e spaesato. Non riconosceva il luogo in cui si trovava, né i due ragazzi che aveva davanti, che continuavano a chiedergli se stesse bene. Eppure, quegli occhi azzurri preoccupati gli sembravano familiari.
    C'erano tanti rumori tutt'intorno a lui e tante voci, così sommesse da sembrare un coro in preghiera, ma nessuna pareva capace di risvegliare qualche ricordo nella sua mente sonnolenta. Poi delle mani si posarono sulle sue spalle e lo scossero con forza e il suo nome urlato insieme all'ordine di svegliarsi sembrarono far scattare qualcosa. Sbatté le palpebre sugli occhi verdi e all'improvviso, riconobbe Riku.
    L'argenteo lo fissava ansioso a labbra serrate, probabilmente con i denti così stretti da far male. Accanto a lui vide Sora, i pugni chiusi con forza sulle ginocchia posate sul pavimento coperto di paglia e schizzi e gocce di sangue scuro.
    Si portò una mano alla nuca per cercare di placare un dolore pulsante che aveva preso a battere come un martello. Non ricordava nulla degli ultimi giorni. Quanti ne erano passati, poi, per lui era un altro mistero.
    Fece per alzarsi in piedi -forse muovendosi avrebbe sbloccato la propria memoria-, usando la mano libera, ma questa era invece impegnata a stringere qualcosa. Abbassò lo sguardo e trovò l'impugnatura di una frusta. Fu allora che notò il proprio vestiario: gli abiti neri orlati di giallo tipici di un domatore di bestie feroci fasciavano il suo corpo alla perfezione. Si chiese perché fosse vestito in quel modo; confuso, Axel continuò a guardarsi finché non vide anche su di sé delle macchie scure, che subito identificò come sangue. Sollevò la frusta e se la portò davanti agli occhi, confermando i propri pensieri: anch'essa era sporca di sangue, che ancora scivolava sulle tre corde sottili che la componevano. Era stata usata da poco, e intuì che doveva essere stato lui stesso a usarla, ma non lo ricordava.
    Riportò lo sguardo sugli amici e un nome si fece largo nel caos dei suoi pensieri. Fissò Sora e finalmente capì perché quegli occhi azzurri gli erano sembrati così familiari.
    -Roxas.- disse in un sussurro. -Dov'è Roxas?-
    Lentamente la sua memoria si ricompose: era fuori con Roxas quando un gruppo di individui vestiti di rosso e oro e dal volto coperto da inquietanti maschere inespressive, li aveva circondati. Aveva fatto giusto in tempo a mettersi davanti al compagno poi tutto si era fatto buio e il suo ricordo seguente era una sola frase, un ordine: "Doma la bestia.".
    L'orrore gli riempì lo sguardo e rubò il colore dal suo viso già pallido. Non capiva perché, ma una voce interiore gli stava urlando di trovare il suo compagno, il suo cuore però a quel pensiero fremette di qualcosa simile alla paura. Scattò in piedi, frusta ancora in mano, barcollando sulle gambe malferme, e i due amici si mossero con lui, pronti a sostenerlo se fosse caduto. Axel si guardò in giro alla ricerca di Roxas e solo in quel momento studiò l'ambiente in cui si trovava: gli sembrò di essere all'interno del tendone di un circo, di dimensioni più piccole e fatto di cemento, perché indubbiamente tutti quegli eleganti spalti composti da sedie di pregiata fattura poggiavano contro una parete e non contro la tela di una tenda. Lui si trovava al centro dell'arena, proprio sotto il cono di luce principale, intorno a lui c'erano movimenti continui. Vide i suoi compagni correre da una parte all'altra con urgenza e gli uomini di basso grado li seguivano a ruota, spesso portando persone ferite sulle spalle.
    Alla fine, il suo udito captò una voce amica in tutta quella cacofonia e si girò di centottanta gradi. Demyx era seduto di fronte a qualcuno seduto sui sacchi di sabbia che delimitavano l'arena e con un'esclamazione di vittoria fece cadere una coppia di pesanti e spesse manette di metallo e la loro catena. Alzò il viso e sorrise alla persona appena liberata dai suoi vincoli, gli disse qualcosa, ma l'attenzione di Axel era tutta per il capo chino di Roxas e i suoi polsi arrossati.
    Quasi inciampando nei suoi stessi piedi corse dai due, senza far caso alle persone che rischiava di travolgere lungo la strada, Sora e Riku costantemente al suo fianco si scambiarono sguardi ancora più preoccupati.
    Avvertendo del movimento alla propria sinistra, Demyx si voltò e un sorriso mesto gli allungò appena le labbra. Sfiorò l'amico biondo con una carezza sulla fronte e si fece da parte, lasciando spazio al rosso, che cadde in ginocchio di fronte all'oggetto della sua ricerca disperata.
    -Roxas…- soffiò con il fiato corto, gli occhi sgranati e una strana sensazione di gelida paura a stringergli il petto. -Roxas…?- chiamò ancora, alzando la mano libera per carezzargli la guancia.
    Il biondo però si ritrasse e scivolò da dov'era seduto, girandosi e mostrando parte della schiena, le catene che ancora legavano le sue caviglie tintinnarono, mentre le braccia tremanti sostenevano il suo peso, poggiandosi al pavimento.
    Puro orrore prese possesso del volto ormai cinereo di Axel, che non poteva far altro che guardare le ferite sottili che costellavano la bianca schiena di Roxas. Verticali, orizzontali e diagonali, orribili squarci sparsi e in tutte le posizioni che si potevano immaginare, sfregiavano la pelle sottile. Alcune erano ancora sanguinanti, altre slabbrate e circondate di sangue secco, altre ancora erano già coperte da una crosta rugosa e scura, che sicuramente si sarebbe rotta al primo movimento brusco. Per fortuna, pensò il rosso inconsciamente, quello spostamento non lo era stato. Tentò di avvicinarsi, ma il biondo si allontanò di nuovo, gli occhi bassi.
    Axel si sentì morire. Si chiese perché Roxas lo stesse rifiutando, ma la risposta era già lì, nella sua mano sinistra e nelle macchie che scurivano e bagnavano la sua giacca nera. Diede un cauto sguardo all'oggetto che teneva tra le dita e come se si fosse scottato lo gettò via per poi stringere il pugno nell'altra mano. Tornò a guardare il suo compagno e si avvicinò di un passo, cadendo in ginocchio.
    -Roxas?- sussurrò ancora.
    Questa volta, il più giovane si lasciò avvicinare, ma la testa rimase china con la frangia bionda a celargli lo sguardo. Axel osservò ogni sfregio, ma nemmeno uno riuscì a restituirgli la memoria di ciò che aveva compiuto. Ripeté il nome dell'altro e gli prese il volto tra i palmi, sollevandolo per poterlo guardare negli occhi. Gelò e il respiro gli venne meno. Gli occhi azzurri di Roxas, solitamente caldi, vivi e limpidi, ora erano spenti, scuri e vuoti, come un pozzo nero e in apparenza senza fondo.
    -Cosa… Cosa ho… fatto?- balbettò Axel, sentendo le lacrime scendere senza freni sulle guance.
    Fece salire la mano sinistra tra le ciocche bionde, mentre l'altro braccio lo avvolse attorno alle spalle di Roxas per tirarlo verso di sé. Nascose il viso tra i suoi capelli e chiese perdono. Axel implorò il perdono del suo compagno per ciò che aveva fatto, per non ricordarlo e per non aver impedito che accadesse. Invocò un Dio che forse nemmeno esisteva e chiese anche il suo perdono, infine pregò. Pregò affinché Roxas tornasse da lui, perché in quegli occhi vuoti di lui non c'era traccia e forse non ci sarebbe stata mai più.

    .: [---] :.


    Quando riprese i sensi, Roxas si accorse immediatamente che era tutto sbagliato.
    Indossava solo i pantaloni, polsi e caviglie erano legati con delle catene ed era chiuso in una gabbia di solido legno, talmente piccola che gli concesse solamente di sedersi, e solo da un lato era dotata di fredde sbarre di metallo. Ciò che più lo preoccupò fu il fatto di essere solo.
    Si portò una mano alla nuca e sibilò quando i polpastrelli trovarono il punto in cui l’avevano colpito per renderlo innocuo. In un flash ricordò l’aggressione di quegli uomini vestiti di oro e rosso e la resistenza opposta sia da lui che dal proprio compagno. Si avvicinò alle sbarre, chiedendosi dove li avevano portati e quanto tempo fosse passato da quel momento. Cercò di scrutare nel buio di quel luogo, ma non riuscì a distinguere nulla di più che sagome di oggetti che potevano essere casse o altre gabbie come la sua. Fece per chiamare il compagno, per assicurarsi che almeno fossero insieme, ma un grido di rabbia squarciò il silenzio.
    Roxas riconobbe immediatamente quella voce e non gli riuscì più di urlare il nome di Axel, probabilmente non l’avrebbe nemmeno udito. Non l’aveva mai sentito così infuriato né gridare in quel modo per opporsi a qualcosa che non voleva fare, ed ebbe paura.
    La sua paura poi mutò in terrore quando un ultimo urlo di dolore riecheggiò tra le pareti di quel luogo sconosciuto, per poi gettarlo di nuovo in un silenzio angosciante. Senza accorgersene, chiamò il compagno in un sussurro, facendo sembrare il suo nome quasi una preghiera.
    Poco dopo, ci fu uno sfarfallio di luci e tutto si illuminò. Alla vista di ciò che lo circondava, Roxas indietreggiò con gli occhi sgranati. Di fronte a lui c’erano altre gabbie, anch’esse occupate da persone che tuttavia, non sembravano turbate da tutto quel trambusto. Quegli uomini e quelle donne, vestiti di stracci laceri e sporchi, giacevano immobili sul pavimento della loro gabbia, dando la schiena all’esterno, come se non volessero essere disturbati.
    Sobbalzò quando un pugno si abbatté con violenza sulla parte superiore della propria gabbia, che anticipò il ghigno divertito di un uomo con la parte superiore del viso coperta da una maschera nera.
    Roxas lottò e si oppose, tentò di mordere lui e il suo compare che dopo averlo tirato fuori dalla gabbia, lo trascinarono lungo un corridoio per gettarlo in una specie di arena da circo coperta di paglia e delimitata da sacchi di sabbia. Un mormorio di voci gli fece alzare lo sguardo e incrociò tanti volti di tante persone che lo osservavano da dietro le loro maschere simili a quelle di un elegante carnevale.
    Lo schiocco di una frusta contro la sua schiena nuda lo fece gridare dal dolore e si girò istintivamente per affrontare il suo aggressore. La sua rabbia, però, si sciolse come neve al sole e il suo cuore s’incrinò. Avrebbe riconosciuto quella chioma rosso fuoco ovunque, esattamente come gli occhi verdi che lo fissavano dalle fessure della maschera bianca e gli ipnotici ghirigori rossi. Quegli occhi però non erano luminosi e vividi come li conosceva, erano gelidi, spenti, e lo fissavano senza alcun barlume di riconoscimento. E forse fu quest’ultima cosa a gettarlo nel panico.
    -Axel?- mormorò, e la frusta schioccò di nuovo sul suo braccio destro, che scattò a protezione del viso. -Axel cosa fai?! Fermati! Axel!- urlò poi, cercando di alzarsi in piedi, ma fallendo miseramente a causa della catena che gli legava le caviglie e che lo fece cadere sul fianco.
    La frusta si abbatté su di lui senza pietà, strappandogli gemiti e grida di dolore. Le lacrime gli bagnarono le guance e quando tornò a voltarsi trovò Axel a guardarlo dall’alto, inespressivo e privo d’emozioni come un boia pronto a eseguire il suo dovere.
    E quando giunse l’ennesimo colpo di frusta, Roxas sentì il suo cuore rompersi in mille pezzi.

     
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    Titolo: Dietro l’angolo
    Autore: Liberty89
    Genere: Generale
    Rating: Verde
    Personaggi: Axel, Roxas
    Avvertimenti: AU, Flash-fic
    Note dell’autrice: Salve a tutti! Lo so, sono in ritardo, chiedo perdono çWç Riprendere l'università dopo due settimane di libero cazzeggio e cibo è stato più difficile del previsto. Non voletemi male çWç
    Ma veniamo a noi, ormai siamo alle battute finali, dopo questa ci saranno altre due fic e la raccolta si chiuderà. Detto questo, vi lascio alla fic dal tema generale e forse un po' malinconico. Buona lettura!

    Dietro l’angolo

    ~ Pic #18 ~


    One Piece - Bink's Sake (Violin solo)

    L’autunno stava per giungere al termine. Le foglie ingiallite e secche cadevano dai rami con piccoli schiocchi, tingendo i marciapiedi di colori caldi e danzando con i colpi di vento. All’ennesimo alito di fredda brezza, Roxas si chiuse meglio il colletto della giacca e serrò la presa sul bicchiere di caffè bollente che teneva in mano e quella del braccio sul giornale tenuto contro il fianco, per poi affrettare il passo. Non era in ritardo per la lezione, ma l’aula sarebbe stata sicuramente calda. Svoltò l’angolo e si diresse con passo celere verso l’università, anelando il calore delle quattro mura che lo avrebbero ospitato quella mattina.
    Gli mancava da percorrere il vialone, costeggiato da querce impreziosite da chiome color oro, come sempre pieno di studenti e professori che andavano nella sua stessa direzione, quel giorno però, oltre al chiacchiericcio della gente Roxas udì qualcosa in più. Una melodia dolce, quasi malinconica, prodotta dalle gentili corde di un violino. Si fermò per un attimo e si guardò in giro, in cerca della fonte di quella sinfonia e la trovò all’incrocio più avanti. Un ragazzo vestito degli stessi colori degli alberi se ne stava all’angolo del marciapiede di fronte a suonare il suo violino.
    Il biondo riprese il cammino con passo più lento, volendo ascoltare il più a lungo possibile quella melodia nostalgica, che sapeva di tramonto e vecchi ricordi. Raggiunto l’altro marciapiede, Roxas osservò il ragazzo con attenzione: maglia gialla come le foglie di quella stagione, pantaloni marroni, felpa scura a righe gialle con la zip aperta e le maniche tirate ai gomiti, sulla testa un berretto di lana grigia copriva la maggior parte delle ciocche rosse come il fuoco. Il viso dalla pelle chiara -forse troppo, visto che sembrava pallida- era disteso ma concentrato, le palpebre calate sugli occhi dal colore che non avrebbe saputo indovinare, parevano dar vita a quelle due lacrime tatuate sugli zigomi. Ai suoi piedi, coperti da un paio di vecchie scarpe logore, stava la custodia dello strumento, aperta e contenente qualche moneta e un paio di banconote di piccolo taglio.
    Gli si fermò accanto, a pochi passi, rapito da quella musica che sembrava poter andare avanti per sempre e che non l’avrebbe mai stancato. L’archetto si muoveva con fare sinuoso, quasi si trovasse nell’acqua e fosse docile come un’alga, anziché rigido come un fusto.
    Il forte rintoccare del campanile vicino lo destò da quello stato di trance in cui era caduto, e Roxas si accorse che stava cominciando a farsi tardi. Si frugò velocemente nelle tasche con la mano libera, ma ne uscì solamente un pacchetto di fazzoletti e una bustina di biscotti che avrebbero dovuto accompagnare il suo caffè prima dell’inizio della lezione. Guardò di nuovo il musicista e dalle sue labbra screpolate uscì una nuvoletta di respiro caldo.
    Facendo attenzione a non disturbare, il biondino arretrò di due passi e lasciò nella custodia del violino il bicchiere e i biscotti. Tornato in piedi, s’incamminò di nuovo, ma una voce sconosciuta lo costrinse a voltarsi un’ultima volta.
    -Grazie mille, con questo freddo ci voleva.- sorrise il violinista, ringraziandolo ancora tramite i suoi occhi verdi come le foglie in primavera.
     
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    Titolo: Black and red
    Autore: Liberty89
    Genere: Dark, Sovrannaturale
    Rating: Giallo
    Personaggi: Axel, Roxas
    Avvertimenti: AU, One-shot, Shonen-ai
    Note dell’autrice: Buona sera people! È tanto che non mi faccio vedere, vero? Diciamo che è un po’ colpa degli esami e un po’ colpa mia, ma adesso vi spiego in poche parole. La penultima fic per questa raccolta era già pronta da più di un mese, ma non mi convinceva per niente. Mi sembrava vuota e… meh, quindi l’ho lasciata da parte, in attesa che mi arrivasse l’ispirazione giusta per migliorarla o riscriverla da capo. Ieri ho avuto il lampo di genio (?) e non solo m’è venuta un’idea alternativa per la stessa pic, ma persino una nuova per un’altra immagine. Perciò, abbandonata quella precedente, ho preso la palla al balzo e scritto una fic diversa. Et voilà!
    Buona lettura!

    Black and red

    ~ Pic #19 ~


    Si svegliò di soprassalto, calciando via le lenzuola. Con un gemito di dolore, Roxas si chinò su se stesso, abbracciandosi il torace per raggiungere la schiena con le dita. Carezzò la pelle sudata e sibilò a denti stretti quando i polpastrelli sfiorarono il tessuto cicatriziale che gli sfigurava il dorso. Nonostante gli anni passati, a volte doleva ancora, quasi fosse lì da pochi giorni.
    Placato il respiro, ma non il tremore delle membra, il biondo si alzò dal letto per raggiungere la specchiera e il catino colmo di acqua fresca che avrebbe dovuto usare per le abluzioni mattutine. Si appoggiò con i palmi al solido mobile di legno e cercò di riacquistare padronanza di sé. Quel sogno… anzi, quell’incubo, lo aveva scosso. All’inizio sembrava un sogno qualunque, uno dei ricorrenti viaggi onirici che la sua mente malinconica e nostalgica gli imponeva di vivere durante il sonno. Rivedeva sempre le stesse cose: la loro casa in cima alla collina, immersa nel verde dei prati e l’oro dei campi, il sentiero che collegava ogni abitazione dalla chiesa del paesino fino alla stazione ferroviaria, e lui con il suo bellissimo sorriso, che lo aspettava a braccia aperte sulla soglia.
    Quella notte il sogno era stato identico ai precedenti, finché il paesaggio non era cambiato. Il sole era diventato nero come il prato e il cielo da azzurro era diventato rosso sangue, lo stesso che gli imbrattava la schiena e che si portava via la vita del suo Axel -quella vita che l’Organizzazione aveva deciso di distruggere per il suo bene, così avevano detto. Ma in quell’incubo era finita diversamente.
    Da morto, Axel si era rialzato, gli occhi bianchi e le dita protese per riprendersi ciò che gli era stato portato via. dopo aver compiuto la propria vendetta, quell’essere si era chinato anche su di lui, gli aveva respirato sulla bocca quasi volesse rubargli l’anima con un soffio, e gli aveva piantato le lunghe unghie nere nella schiena, al centro della cicatrice come se volesse cancellare il marchio di chi l’aveva ridotto in quel modo.

    Scuotendo il capo per cancellare le immagini di quell’incubo fin troppo vivido, Roxas immerse le mani nel catino e si bagnò il viso con l’acqua fresca. Il liquido corse sulla sua pelle accaldata, scivolando sul collo e sul petto nudo, dandogli immediato sollievo, che lo fece sospirare. Alzò le palpebre e portò lo sguardo sullo specchio dalla cornice finemente intarsiata, illuminata appena dai pochi raggi di luna che facevano capolino dalle fessure delle gelosie. Sua zia Aerith aveva gusti davvero discutibili, pensò il biondo osservando ogni dettaglio florale del legno, risalendo fino alla cima della cornice, su cui sorgeva un volto inespressivo circondato da folti capelli ondulati e solcato da una lacrima -che gli ricordò terribilmente i tatuaggi del suo Axel.
    Nel momento in cui identificò quel dettaglio, una goccia cadde dalla punta del suo naso fin nel catino, con un tintinnio sommesso, facendolo sobbalzare. Dandosi del fifone e chinando la testa, prese un profondo respiro e si appoggiò alla cornice con entrambe le mani. Poco dopo, sollevò lo sguardo sul proprio riflesso e gelò.
    Una mano pallida come la morte gli accarezzava il mento e la guancia, mentre l’altra si posava sulla sua spalla, risalendo lentamente dal petto e tracciando il percorso con gli artigli. Intanto, alle spalle della sua immagine riflessa, il viso di Axel comparve dal buio dello specchio, gli occhi bianchi e i capelli rossi illuminati dai flebili raggi lunari.
    Trattenne il fiato un istante e sbatté le palpebre.
    Di fronte a sé, Roxas vide solo il proprio riflesso, nessuna traccia della creatura frutto dei suoi incubi più recenti. Il sospiro di sollievo, però, gli morì in gola quando la presa sul suo mento si fece più salda e gli artigli neri si piantarono nella carne della sua spalla.
    Il biondo si girò lentamente e quando vide l’orribile ghigno che deformava il volto del suo Axel, il suo mondo si tinse di nero e rosso sangue.
     
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    Fuoco crepuscolare che mai si estinguerà

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    Titolo: You go to my head
    Autore: Liberty89
    Genere: Erotico, Romantico
    Rating: Arancione
    Personaggi: Axel, Roxas
    Avvertimenti: AU, Lemon, One-shot
    Note dell’autrice: Ebbene eccoci alla fine, il cerchio delle pic si chiude. Come sempre accade, per noi scrittori è sia una soddisfazione che un dispiacere finire una fic. Vederla finita è una gioia, perché il prodotto finito ti rende orgoglioso del tuo operato, però ti dispiace non poterci più lavorare, vorresti continuare per l'infinito e oltre (?), ma se è vero che il ferro va battuto finché è caldo è anche importante saper mettere la parola fine.
    Ringrazio tantissimo chi mi ha seguita fin qui, leggendo e/o commentando, e chi mi ha sostenuta e aiutata dietro le quinte durante la stesura di ogni storia. Grazie millissime a tutti <3 Poi beh, si ringrazia tantissimo la Nijuukoo per le immagini che ha saputo creare, perché senza di esse, la raccolta non sarebbe mai esistita.
    Ma ho ciarlato anche troppo, quindi vi lascio all'ultima storia che per pura casualità in alcuni dettagli si ricollega alla prima. Ditemi nelle recensioni se li avete trovati x3
    Buona lettura!


    You go to my head

    ~ Pic #20 ~


    Chet Baker - You Go to My Head

    Premette l’ultima lettera sulla tastiera della macchina da scrivere e poi con un sospiro si accasciò sulla poltrona -o meglio, la sedia con le rotelle a cui doveva mettere un cuscino nuovo, perché quello a lui tanto caro ormai era ridotto a una distorta versione di ciò che avrebbe dovuto essere. Gettò uno sguardo all’orologio e, se possibile, la sua stanchezza incrementò: erano le sei passate, stava lavorando a quell’articolo da più di cinque ore. Si passò una mano tra gli arruffati capelli biondi, stupito che nessuno avesse varcato la soglia del suo ufficio per così tanto tempo. In realtà, si accorse che oltre al mormorare della radio non c’erano altri rumori. Probabilmente la segretaria era passata a salutarlo e lui non se n’era neanche accorto.
    Prese un lungo respiro, stiracchiandosi, e si disse che forse era ora di alzarsi e andare a casa. Qualcuno, però, gli fece cambiare i piani appena stabiliti. Un solo colpo al bordo della porta e il visitatore inatteso entrò, prendendosi il permesso da sé e chiudendosi l’uscio alle spalle subito dopo, la chiave girò due volte, come a ricordargli che non gli sarebbe sfuggito. Roxas alzò gli occhi al soffitto, prima di riportarli sul detective che l’aveva appena sequestrato. Senza il soprabito, Axel gli apparve in tutto il suo elegante e sensuale aspetto: il corpo magro fasciato alla perfezione dal completo gessato e dalla camicia candida, su cui svettava la cravatta rossa, come le ciocche di capelli tenute a bada dal fedora grigio; gli occhi verdi come smeraldi fissi su di lui, che ricambiavano il suo esame con uno identico -forse più famelico- e le labbra fini impegnate a prendere gli ultimi tiri di una sigaretta di cui si scoprì assurdamente geloso. Osservò attentamente le dita, i polpastrelli dell’indice e del pollice, che si stringevano attorno al filtro per scostare appena il mozzicone e le labbra che si schiudevano appena, espirando una boccata di fumo grigio, che coprì il suo viso per poi svanire nell’aria dell’ufficio.
    Il biondo aggirò la scrivania con lentezza studiata, appoggiandosi al bordo, mentre l’altro spegneva la cicca nel posacenere posato sul mobiletto lì accanto e tornava a fissarlo con uno sguardo acceso di desiderio e un sorriso strafottente.

    Sospirando, si tenne al bordo della scrivania con la mano sinistra, la destra si teneva salda alla schiena dell’uomo dai capelli rossi chino su di lui, impegnato a invadergli la bocca. Mugolò quando sentì le dita di Axel slacciargli i pantaloni, in risposta il bacio si fece più vorace e Roxas avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. Continuava a dire al suo amante che doveva smettere di fumare, ma quello ogni volta rideva e lo baciava, rammentandogli quanto lo facesse impazzire avere sulla lingua il suo sapore misto a quello acre del fumo. Roba da perderci la testa, e il giornalista l’aveva persa molto tempo addietro.
    Il contatto col legno freddo della scrivania lo fece sussultare e schiuse appena gli occhi resi blu dalla libidine, chiedendosi quando i pantaloni gli erano finiti alle caviglie. Con attenzione, la macchina da scrivere e la lampada furono spostate, la stessa premura non fu riservata ai fogli e al giornale che furono spinti con poco riguardo sulla poltrona dall’altra parte della scrivania, e la schiena del biondo prese il loro posto il momento seguente.
    Era capitato altre volte che s’incontrassero di nascosto in quell’ufficio, ma fare l’amore sulla scrivania per Roxas era eccitante come se fosse la prima. Il rischio di essere scoperti da qualcuno, nonostante l’accortezza del detective che per deformazione professionale era più prudente del normale, lo eccitava ancora di più, gli dava alla testa. Esattamente come il respiro roco del rosso contro il suo orecchio e la mano che si muoveva sulla sua erezione allo stesso ritmo delle spinte. Si aggrappò con più forza alla schiena dell’altro, coperta dal gilet -la giacca era stata dimenticata appesa allo spigolo dell’archivio-, quando quello stesso ritmo aumentò, facendogli perdere completamente il contatto con la realtà.

    Quell’ultimo bacio rovente gli aveva lasciato le labbra gonfie e arrossate, il respiro corto e gli occhi mezzi chiusi, persi in quelli del suo amante, ancora accesi dal desiderio.
    -Cielo, Roxas…- soffiò Axel, sfiorandogli la guancia con il dorso delle dita. -Sento di non averne mai abbastanza di te… Mi fai impazzire.- disse, tornando alla conquista della sua bocca.
     
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